Interruzioni di Camilla Ghedini: la non maternità nuda e cruda

17 maggio 2016

Diventare madre? Non è un dovere. Quanto alla famiglia, non sempre è il nido di pace a cui aspirare a tutti i costi. Interruzioni (Giraldi editore, € 10) di Camilla Ghedini è un libro duro e disincantato, che senza l’aggiunta di edulcoranti racconta quattro storie: una mamma che ha ucciso il figlio e parla della sua tragedia umana; una giovane donna che rivendica la sua scelta di non procreare; una che dialoga con la bambina “abortita” che continua a vivere dentro di lei; una figlia malata terminale che parla a cuore aperto con la madre. 100 pagine da leggere in un fiato, un pugno nello stomaco che fa riflettere su scelte ed emozioni che a volte diamo per scontate.

È naturale chiedersi se il tuo libro nasca da qualcosa di autobiografico…
«È nato dopo la morte di mio padre, a testimonianza che le viscere non sono una questione di genere. Di autobiografico ci sono i dubbi, primo dei quali la concezione cattolica della vita come dono, nonostante io abbia fede. Attorno ho costruito racconti volutamente esasperati ed esasperanti. C’è l’ammissione che la maternità non è un dovere, non è necessariamente un istinto. È sentimento. Che si può averne paura, si può ritenere di non esserne all’altezza, si può temere di non amare abbastanza chi uscirà dal nostro corpo, si può essere spaventate all’idea di non riuscire a proteggere dal mondo fuori la creatura che prende forma dentro. C’è la consapevolezza che di fronte a eventi traumatici spesso non andiamo avanti, non restiamo fermi, non torniamo indietro. Semplicemente ci “interrompiamo”, e siamo costretti a riformularci».

Raccontaci le motivazioni profonde che stanno dietro le scelte delle tue quattro donne.
«La prima è una figlia, che proprio perché conosce l’infelicità dei genitori e la pesantezza dell’età adulta, si sottrae alla procreazione, come testimonianza d’amore. La seconda è un’infanticida che non chiede perdono, redenzione, che desidera ancora non solo vivere, ma vivere appieno, rivendicando addirittura la propria sensualità. La terza è una quarantenne malata terminale, che in una sorta di inversione di ruoli, sul letto di morte, prova a spiegare a una madre mai stata tale perché ha rinunciato all’accanimento terapeutico. L’ultima fa un’interruzione di gravidanza e parla di un desiderio di maternità che sfocia improvviso “dopo”, trasformandosi in desiderio-ossessione. A conferma che l’esercizio di un diritto come l’aborto non necessariamente pacifica ma può lasciare invece una ferita».

Sempre meno donne fanno figli. Da giornalista oltre che autrice, secondo te è più una scelta o una rinuncia?
«Da giornalista leggo i dati e ascolto le storie, e ho spesso la sensazione che si ammanti di vittimismo e impossibilità ciò che non sempre si ha il coraggio di definire “scelta”. C’è ancora la necessità di giustificarci per questo non-bisogno, e allora ecco che abbiamo a portata di mano l’alibi della crisi e dell’instabilità lavorativa. Detto questo, ritengo anche che si debba fare molta strada a livello politico e di welfare per supportare chi ha un progetto di famiglia. Penso alla necessità di conciliare tempi di vita e lavoro, all’assenza di strutture per l’infanzia. Ma chi i figli li desidera veramente non si arrende: lo dimostra il ricorso crescente alla procreazione assistita, un percorso duro, psicologicamente ed economicamente».

Ha senso ed è possibile oggi per una donna realizzarsi senza passare dall’esperienza della maternità?
«Assolutamente sì. Il campo dell’affettività è vasto. Certo, rimane il dubbio di essere “incomplete”. Io l’ho provato. Eppure sono sicura che se avessi voluto un figlio a prescindere, avrei cercato le condizioni, sarei andata in quella direzione. Se non l’ho fatto, significa che per me non era indispensabile. Poi, tutti noi abbiamo un’altra vita possibile, che nei momenti di frustrazione rimpiangiamo. Sono convinta che siano molte le mamme che nei momenti di difficoltà si chiedono se un’esistenza senza prole sarebbe stata più appagante e meno faticosa. La verità è che quando si parla di sentimenti non c’è una verità assoluta».

Eleonora Molisani @emolisani