Intervista a Roberto Camurri sul romanzo in racconti “A misura d’uomo”

23 marzo 2018

In A misura d’uomo (NN editore, € 16) la prosa limpida e asciutta di Roberto Camurri racconta di amori, amicizie, tradimenti, vita e morte. Sullo sfondo, la provincia emiliana e i suoi chiaroscuri.

 

Fabbrico è un piccolo paese in Emilia, due strade, i campi intorno, il cielo d’ovatta. È qui che nasce l’amicizia tra Davide e Valerio, ed è qui che una sera d’estate Davide incontra Anela e se ne innamora. Valerio a un certo punto sceglie di andarsene, Davide si perde, e perde quell’unica, preziosa occasione di felicità. Anela diventa, suo malgrado, il perno e lo scoglio su cui si infrange la grande amicizia tra i due. A Fabbrico vivono anche Elena e Mario, Maddalena, Luigi, Giuseppe e Bice, che al bar accoglie tutti per un caffè o una Sambuca.

A misura d’uomo è un delicato romanzo in racconti, dove tutti i personaggi lottano per liberarsi dall’inquietudine tipica di chi vive in provincia. Persone che si sentono ai margini delle grandi cose, ma che ritrovano infine, nella propria terra, la risposta per dare sostanza e forma alla memoria e al futuro che li attende. A Tempo di Libri 2018 abbiamo fatto una chiacchierata con l’autore, Roberto Camurri.

Hai portato alla ribalta una poetica della provincia a misura d’uomo. Bisogna allontanarsi dai luoghi in cui si è nati per poterli vedere e raccontare al meglio? Se tu non fossi  “scappato” da Fabbrico, saresti rimasto innamorato di quel paese “triste e magnifico”?
«Sono “scappato” per andare a studiare e per certi versi è stato un processo naturale. A posteriori mi sono reso conto che il vuoto che sento quando sto lontano da Fabbrico non si è mai riempito fino in fondo. Il rapporto rimane conflittuale, di odio e d’amore, ma se manco dal paese per più di cinque giorni, sento l’esigenza di tornare. Certo, a Fabbrico ci sono tante cose che non mi piacciono, ma forse sono proprio quelle che me lo fanno amare. E che me lo hanno fatto raccontare».

Il racconto che ho preferito è Neve, ma nel libro sono poetici e struggenti tutti i passaggi in cui ti soffermi sugli anziani, i bambini, i più fragili. Hai anche uno sguardo particolarmente attento sul femminile. Il tuo è un occhio disincantato ma sentimentale. Questa sensibilità speciale è dovuta al fatto che nella vita ti occupi di persone con disagi?
«Nasce prima la mia empatia verso gli altri, non il contrario. Il lavoro di educatore per la disabilità mentale è venuto dopo. E quando devo occuparmi di qualcuno non voglio conoscere la diagnosi: voglio approcciarmi alla persona senza pregiudizi o preconcetti; elimino me stesso e le mie sovrastrutture mentali per andare a cercare l’essenza della persona. Credo che un individuo non sia la sua malattia, che la dignità di una persona non debba essere sacrificata in nessuna situazione. E penso che le storie più belle siano contenute nella fragilità umana».

Sei passato da un corso di scrittura alla pubblicazione con un autore indipendente noto per selezionare con cura voci particolari. Com’è nato il romanzo?
«Durante un corso di scrittura con Ivano Porpora ho cominciato a scrivere i racconti. All’inizio erano indipendenti l’uno dall’altro, poi, quando li ho proposti all’editore, mi è stato fatto notare che erano tutte storie collegabili. C’era un filo rosso che teneva insieme tutto, luoghi e personaggi».

Un esordio felice, tre ristampe, tanto pubblico che ti segue nelle presentazioni. Emozioni?
«All’inizio ero terrorizzato, essere al centro dell’attenzione è una cosa che non mi appartiene come persona. Poi, quando ho visto il calore di chi partecipa alle presentazioni, mi sono reso conto che alla fine è la cosa più bella. Se vedi che gli altri ti accolgono bene ti senti in dovere prima di tutto di dare risposte sensate alle loro curiosità, e poi di restituire l’amore e la cura che i lettori hanno dedicato al tuo libro».

Sei molto seguito sui social. Usarli (anche) per promuovere un libro ha senso?
«Per me i social sono un luogo di aggregazione e di confronto. Se sei capace di usarli bene, non diventano solo lo specchio di quello che scrivi ma anche di quello che sei. L’importante è non snaturarsi mai».

Eleonora Molisani @emolisani

Foto di Daniela Calzolari