28 maggio 2016

“Julieta” e gli altri film di Cannes da vedere subito al cinema

Julieta di Pedro Almodóvar, con Emma Suàrez e Adriana Ugarte. In concorso al Festival di Cannes. La storia: Julieta vive a Madrid, con una grande sofferenza nel cuore. Sono 13 anni che non vede la figlia Antía che, diventata maggiorenne, le ha chiesto di non cercarla e ha fatto perdere le sue tracce. Julieta è sopravvissuta all’abbandono prima tormentandosi in silenzio, poi cercando di dimenticare e ricostruirsi un’affettività insieme a un nuovo compagno. Ma un giorno, per caso, qualcuno le dà notizie della ragazza. La ferita si riapre, iniziano i flashback. Un incontro di tanti anni prima in treno. Il grande amore. Il trasferimento in un villaggio di pescatori in Galizia. La nascita della bambina. Ma non sempre tutto fila dritto, nella vita, e le tragedie possono spezzare anche i legami più forti, come quello tra madre e figlia. Il nuovo film di Pedro Almodóvar è, come ha detto lui stesso, «un dramma duro, avvolto in un alone di mistero, senza tracce di umorismo, lontano dal melodramma che mi è sempre stato congeniale». È un film sulla perdita e il dolore, la morte e il senso di colpa, i nodi profondi e inspiegabili delle relazioni umane, «sulla vita e la morte, e l’amore fisico come risposta alla morte» (citando ancora Almodóvar). Sui grandi amori o grandi amicizie che scompaiono dalla nostra vita per vari motivi, non sempre spiegabili. Ispirato a tre racconti della canadese Alice Munro (Fatalità, Fra poco e Silenzio), che Almodóvar ha ricostruito liberamente in un’unica storia ambientata nella sua Spagna, Julieta è stato criticato da quei cinefili che dal regista di Tutto su mia madre si aspettavano fuochi d’artificio verbali e cinematografici. Eppure questo film formalmente più misurato dei precedenti, nella sua imperfezione è maturo, complesso e profondo.

Fiore di Claudio Giovannesi, con Daphne Scoccia, Valerio Mastandrea, Josciua Algeri. Selezionato alla Quinzaine des Réalisateurs. Storia di una ragazza che si è un po’ persa: Dafne, madre assente e padre ex carcerato, ruba telefonini e finisce in riformatorio. Selvatica e ribelle, ma sensibile ed empatica con le persone simili a lei, passa i giorni aspettando le visite del padre per il quale stravede (Valerio Mastandrea) e scrivendo messaggi a Josh, detenuto nell’area maschile. Pian piano i loro sguardi, e le loro mezze frasi, si trasformano in una speranza d’amore e di futuro insieme, che dà loro la forza di andare avanti, lascia intravedere il sole dietro le sbarre. Questo è il piccolo grande film italiano, firmato dal regista Claudio Giovannesi (Alì ha gli occhi azzurri) che ha conquistato la Quinzaine des Résalisateurs a Cannes. Grazie a una protagonista sorprendente (Daphne Scoccia regge praticamente tutto il film) e a un racconto che sa rendere avvincente una vita ai margini, vedere speranza anche in destini segnati. Stile asciutto, zero retorica, grande sensibilità umana e cinematografica.

La pazza gioia di Paolo Virzì con Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti. Selezionato alla Quinzaine des Réalisateurs. Beatrice è una nobildonna brillante, elegantissima e sempre molto euforica, con un passato e un guardaroba mondano (una strepitosa Valeria Bruni Tedeschi). Donatella è una ragazza fragile, silenziosa, che sembra assorta in suo misterioso dolore (Micaela Ramazzotti, magrissima, sciupata e tatuata, eppure bellissima). Si incontrano in una comunità per donne con disturbi mentali, che hanno avuto problemi con la giustizia. Una esuberante, l’altra timida. Una solare, l’altra ombrosa. Nella diversità diventano amiche, proprio loro che non si sarebbero mai incontrate fuori da lì, tanto diversi sono gli ambienti dai quali arrivano. Il film racconta la loro fuga dalla comunità: la voglia di “pazza gioia”, di vivere e amare, di riparare i danni del passato e cercare la felicità. E mentre fuggono scopriamo la loro storia, stiamo dalla loro parte. «Mi sono sempre stati simpatici i casi umani, stavolta però ho voluto mettermi dalla parte dei matti veri» ha detto il regista Paolo Virzì al pubblico della Quinzaine, che ha molto applaudito il film. Una “dramedy” all’italiana (cioè un film tra commedia e tragedia) che racconta una storia forte con leggerezza, tra risate e lacrime. E ricorda vagamente (o forse cita volontariamente) film come Qualcuno volò sul nido del cuculo e Thelma e Louise, in una variante alla livornese che ha conquistato oltre alla critica il pubblico (incassando in due settimane 2,6 milioni di euro).

Money Monster – L’altra faccia del denaro di Jodie Foster, con George Clooney e Julia Roberts. Presentato fuori concorso a Cannes. Un film sul mondo della finanza, che unisce spettacolo e attualità. Dopo il recente La grande scommessa (e i meno recenti The  Wolf of  Wall Street e Margin Call) ecco una storia non vera, fantasiosa ma efficace, che affronta il tema di lupi e agnelli della finanza, delle grandi banche d’affari e di chi ne è vittima. Kylie è un giovane che ha investito e perduto tutti i suoi risparmi seguendo i consigli del guru televisivo Lee Gates (George Clooney), conduttore dello show Money Monster. Per rabbia e per chiedere una spiegazione, irrompe nello studio e prende in ostaggio Lee, minacciando in diretta di far saltare tutti in aria. Perché una società quotata in Borsa ha bruciato in poche ore milioni di dollari, rovinando tanta gente? La domanda diventa un giallo, che l’abile produttrice (Julia Roberts) e lo showman cialtrone, per salvare la faccia e la pelle, saranno costretti a risolvere. La storia è alquanto improbabile, l’inchiesta in diretta è risolta magicamente in fretta, eppure il film ha ritmo, tiene col fiato sospeso, fa riflettere sull’eccessiva spettacolarizzazione di argomenti troppo importanti per essere trasformati in una ruota della fortuna tv.

Pericle il nero di Stefano Mordini, con Riccardo Scamarcio e Marina Foïs. Nella sezione Un certain regard del Festival di Cannes. «Di mestiere faccio il culo alla gente». E non è una metafora, quella di Pericle: lui fa spedizioni punitive a colpi di umiliazioni sessuali. Lavora per Don Luigi, camorrista emigrato in Belgio che se lo è cresciuto da quando, ragazzino, è rimasto orfano per motivi oscuri. Ora Pericle (Scamarcio) ha più di trent’anni e gli occhi chiari da buono, ma la sua vita è nera come il suo soprannome. Poi commette un errore, il clan gli dà la caccia e inizia la sua fuga. In Francia conosce Anastasia, si innamora, immagina per la prima volta un futuro diverso. Ma non è facile smarcarsi dal passato, dalla solitudine, dalla condanna del mondo in cui è ingabbiato. Intenso e asciutto come l’omonimo romanzo da cui è tratto (di Giuseppe Ferrandino, ed. Adelphi), Pericle il nero è un noir e non solo. È la storia di un uomo in cerca di se stesso, della libertà di cambiare il proprio destino. Non per redimersi (niente moralismi), ma per essere felice.

Valeria Vignale @vavign