“Elevator” di Lucia Grassiccia: un esordio da non perdere

25 ottobre 2016

Se è vero che l’unico amore eterno è quello impossibile, allora Lucia Grassiccia nel suo romanzo d’esordio, Elevator (Prospero, pag. 160, € 12,90; e-book € 4.99), ha trovato le parole giuste per dimostrarcelo. Se è vero che ogni dolore è scritto su lastre di una sostanza misteriosa al paragone della quale il granito è burro – e non basta un’eternità a cancellarlo – allora Lucia Grassiccia ha trovato il modo più efficace per ricordarcelo. Se è vero che ognuno di noi si tiene stretta la solitudine esistenziale come se fosse un’ancora o uno scudo – anche quando gli altri sono così prossimi da sembrare incollati a noi come cemento armato – allora Lucia Grassiccia ha colto l’essenza della nostra attuale condizione di esseri umani.

Di solito in quello che leggo cerco l’emozione che mi fa scordare di essere il lettore. Parole nuove per dire quello che tutti sappiamo. Alla fine la lettura è ascolto. Ascolto di qualcuno che, per talento o per esperienza, riesce a darci uno spunto. Elevator, il romanzo di Lucia Grassiccia, trentenne siciliana di Modica, è una piccola rivelazione. Sia perché si rivela di inaspettata e imperfetta perfezione. Sia perché si rivela pian piano, “elevando” il lettore da un piano all’altro di un palazzo di sette piani. È un racconto di emozioni verticali. Di quelle che – elevandosi – levano di torno la gravità. Nel viaggio, reale e metaforico, incontriamo un personaggio per piano, fino all’apoteosi dell’ultimo livello, abitato dal protagonista principale. Nessuno di loro ha un nome, a sottolineare l’alienazione e l’insignificanza di chi vive nell’indifferenza altrui. Spesso irrimediabilmente reciproca.

Ma, a parte le trovate originali (ogni persona è identificata dalla presenza o dalla foggia dei baffi, pure le donne), il romanzo cattura per lo stile originale e per la poesia, volutamente malcelata. Ci trasporta in un carosello di situazioni reali e metaforiche, che dipingono a tinte sfumate le nevrosi, le paranoie, le distanze, i sentimenti e le emozioni del mondo moderno. Con tanto di spettatori e curiosi che “osservano da fuori”. Sullo sfondo, una storia d’amore romantica, un uomo che decide di abitare in un ascensore per necessità (ha smesso di significare per se stesso nel momento in cui è morto l’oggetto del suo desiderio mai appagato) ma anche con uno scopo recondito: avvicinare, con la sua presenza misteriosa e disturbante, persone che, pur vivendo a un passo l’una dall’altra, non si sfiorano realmente mai.

L’epilogo lo riassumo con le parole dell’autrice:
“L’amante – pian piano – va in malora.
Ma è felice di andarci per colpa della bellezza”.

Per dire che anche un finale amaro può lasciare dolcezza in bocca (“E se la reale conseguenza del coraggio fosse la resa, piuttosto che l’avanzamento?”, la domanda finale del protagonista a se stesso secondo me merita una seria riflessione). Si lascia a malincuore questa prova acerba ma illuminante con almeno due convinzioni: la prima è che davvero il talento non ha età, e questa considerazione riguarda la brava scrittrice di Modica. La seconda è un promemoria: disintegrare il muro ottuso della solitudine è impossibile senza tentare di guardare – ogni tanto – negli occhi e nell’anima di chi ci vive accanto.

Eleonora Molisani