Paul Beatty vince il Man Booker Prize 2016 con “Lo schiavista”

02 dicembre 2016

Prosa potente, brillante, provocatoria. Satira lacerante. Lo schiavista di Paul Beatty (Fazi, € 18,50; e-book € 9,99) è il caso letterario del momento; un racconto feroce e di strettissima attualità sulla questione razziale, sulla giustizia sociale negli Stati Uniti, sulla vita urbana.

Dopo aver ottenuto il National Book Critics Circle Award, lo scrittore afroamericano, classe 1962, radici losangeline, raddoppia con il Man Booker Prize 2016, ed è la prima volta che questo riconoscimento va a uno scrittore statunitense.

Nato a Dickens, un ghetto nella periferia di Los Angeles, il protagonista del libro è figlio di un padre single, un controverso sociologo che usa il piccolo come cavia per una serie di studi sulla razza. Gli è stato fatto credere che il lavoro pionieristico del padre sarà pubblicato in un memoir che risolverà i problemi economici della famiglia, ma quando il padre viene ucciso dalla polizia in una sparatoria, si rende conto che non esiste nessun memoir: l’unica cosa che gli rimane del bizzarro genitore è il conto del suo funerale low cost. Animato dalla grande delusione e dallo sfacelo della sua città, il protagonista si impegna per riparare a un altro torto subito: il ghetto di Dickens è stato letteralmente cancellato dalle carte geografiche e lui, dopo aver arruolato il più famoso residente della città, Hominy Jenkins, decide di ripristinare la schiavitù e la segregazione nella scuola del ghetto. Ma quando finisce sotto processo, rischiando la galera, per la prima volta in vita sua non si sente colpevole:

“L’onnipresente senso di colpa, nero come la torta di mele del fast food e il basket giocato in prigione, è finalmente scomparso, e mi sembra quasi di essere bianco nel non avvertire più il peso della vergogna razziale”.

Nelle aule del Tribunale fuma marijuana e riflette su colpevolezza e innocenza, sul bene e sul male, sulla giustizia e sull’ingiustizia. Al tramonto della presidenza Obama interroga il suo Paese sulla questione razziale, sui diritti civili, sul senso di colpa e sulla coscienza della sottomissione. Scava nelle ferite della società e nel dolore dei singoli in modo a tratti comico e paradossale, a tratti dissacrante, a tratti commovente.

“So che detto da un nero è difficile da credere, ma non ho mai rubato niente. Non ho mai evaso le tasse, non ho mai barato a carte. Non sono mai entrato al cinema a scrocco, non ho mai mancato di ridare indietro il resto in eccesso a un cassiere di supermercato”.

Paul Beatty è un voce nuova e originale, e il suo è un romanzo unico, da non perdere, egregiamente tradotto in italiano da Silvia Castoldi.

Eleonora Molisani @emolisani