Intervista a Rupert Thomson sul nuovo romanzo “Katherine”

14 settembre 2016

Nel romanzo Katherine (NN Editore, € 17; e-book € 7,99) di Rupert Thomson, Kit, 19 anni, frutto di un’inseminazione artificiale, prima di nascere è stata per otto anni un uovo congelato. Ha perso la madre a causa di un cancro e il padre, reporter inviato di guerra, va in giro per il mondo e la lascia sempre sola. La ragazza decide così di intraprendere un lungo viaggio che la porterà da Roma fino in Russia e più a nord, verso i territori di ghiaccio da cui sente di provenire. Come se il freddo e l’oscurità la richiamassero da quei luoghi reconditi e lontani.

Perché ha affrontato questo argomento?
«Mia figlia è nata attraverso l’inseminazione artificiale. Ho sempre pensato che fosse affascinante e misterioso che una vita venga congelata e poi fatta “risorgere” dopo anni. Ho immaginato che chi è nato in questo modo provi un senso di smarrimento; porti con sè per tutta la vita l’eco di qualcosa che è rimasto in sospeso».

Il viaggio è una sorta di purificazione per Kit…
«In genere per superare un trauma si torna sul luogo in cui si è consumato. Tra i ghiacci, da cui idealmente proviene, Katherine supera i suoi limiti e impara a conoscere se stessa. Incontra persone pericolose, inquientanti, positive, amiche: attraverso di loro farà anche un percorso interiore. Del resto se nella vita non si è curiosi e non si ha il coraggio di affrontare i pericoli, difficilmente si riesce a crescere. Anch’io sono fatto così: mai smettere di fare esperienza del mondo e tentare di capire e conoscere gli altri».

Il libro è anche una riflessione sulla solitudine; Kit è l’emblema di molti giovani che si sentono soli al mondo… 
«Sì, Katherine è una giovane donna che, dopo la morte di sua madre, si sente abbandonata. Non è sicura di essere stata amata o di essere amata, sente di essere quasi trasparente per il mondo. Per questo si butta in quel mondo e lo vive fino a farsi male. In realtà sta cercando se stessa attraverso la sofferenza che prova; quello che le manca di più è l’amore dei genitori. E la fuga è un modo per attirare l’attenzione del padre: reclama la sua presenza e il suo affetto».

Eleonora Molisani