5 domande a Natalie Portman, candidata all’Oscar per “Jackie”

12 febbraio 2017

Sembra di conoscerla da sempre. Sarà perché è uguale, o quasi, a quando esordì 14enne in Léon (era il 1994). E forse per effetto della maternità – sta per avere il secondo figlio dal coreografo Benjamin Millepied – sembra un’aliena che arriva da un mondo felice, in un uno stato di beatitudine. Eppure la 35enne attrice israeliana tranquilla non lo è affatto: è un’acqua cheta che nella carriera non si è fatta mancare niente.

In 22 anni ha girato ogni genere di film, dalla saga di Star Wars a Il cigno nero di Darren Aronofsky che le ha fatto incontrare il suo Benjamin, vincere l’Oscar (nel 2011) e ritirarlo con l’aria radiosa e il pancione a pochi mesi dalla nascita del primogenito, Aleph. Ha esordito da regista, nel 2015 (Una storia di amore e di tenebra, dal libro di Amos Oz). E stiamo per vederla nei panni di un’icona: Jackie, in sala dal 23 febbraio, racconta Jacqueline Kennedy nei giorni successivi all’assassinio del marito John Fitzgerald, presidente Usa, nel 1963. «La donna più celebre eppure sconosciuta del Novecento» dice il regista Pablo Larraín. «Una regina senza corona che in un giorno ha perduto il suo trono e suo marito». Per il ruolo, Natalie Portman è di nuovo candidata all’Oscar come migliore attrice protagonista.

Qual è l’aspetto di Jackie che l’ha colpita di più?
«Ha avuto esperienze tremende, ma è incredibile come sia riuscita a mostrarsi forte in pubblico. Ha saputo mettere da parte se stessa e il suo dolore per difendere l’eredità politica del marito, incarnare i valori dei Kennedy e l’America ferita».

La solitudine di una stella di Hollywood è paragonabile a quella di Jackie?
«Le persone che hanno una vita pubblica si sentono sempre un po’ sole, in questo mi sono identificata con lei. Ma le sue emozioni, i pensieri, potevo solo cercare di immaginarli, grazie anche alla lunga intervista che concesse al mensile Life e che si vede nel film».

È vero che lei è una perfezionista?
«Lo dicono, ma a me sembra di essere proprio il contrario… Perché mi butto in progetti rischiosi, che fanno inciampare. E ne ho avuti, di insuccessi. Amicizie chiuse, nella vita privata. Ruoli non riusciti. I capitoli che ho girato io di Star Wars sono stati visti in tutto il mondo, ma hanno avuto delle critiche tali che molti registi non mi volevano più far lavorare!».

Ha recitato in francese, durante i suoi anni di vita a Parigi. È contenta ora di essere tornata a Los Angeles?
«Mi ero trasferita per seguire mio marito (Benjamin Millepied è stato direttore dell’Opera Ballet dal 2014 al 2016, ndr). Ho sperimentato una vita diversa, ma sono contenta di essere tornata a Los Angeles. Per me è casa».

Non la preoccupa far crescere i suoi figli a Hollywood?
«Il mondo del cinema non è preoccupante, ci sono molte leggende. Li proteggerò come i miei genitori hanno protetto me. Mi hanno seguita molto anche quando ho debuttato, a soli 13 anni. Ho continuato a studiare e mi sono laureata in psicologia. Per non deludere loro… e me stessa».

Valeria Vignale

(foto SplashNews)