Intervista ad Alfonso Signorini: “Perché ho scritto il romanzo di Chopin”

11 ottobre 2017

Ciò che non muore mai, il romanzo di Chopin (Mondadori, euro 18), di Alfonso Signorini, è un memoir intenso sulla vita e gli amori di uno dei compositori più amati di sempre

Partendo dalla scena del funerale, in Ciò che non muore mai – il romanzo di Chopin Alfonso Signorini racconta la vita del compositore polacco naturalizzato francese Fryderyk Chopin. Dalla vita da esule, alla vocazione per la musica, alla tormentata relazione con la scrittrice George Sand.

Il genio romantico di Chopin è il paradigma contemporaneo del talento, dell’inquietudine, di un’esistenza vissuta tra paradiso e inferno. Chopin fu la grazia della sua musica eterna ma anche la dannazione della fragilità terrena.
 Fragilità che si manifestava soprattutto nell’ambiguità sentimentale, sospesa tra una donna dalla virilità maschile come George Sand e la passione mai vissuta fino in fondo per il compagno di studi Titus.

Dopo aver conquistato i lettori con le sue biografie romanzate (da Maria Callas a Marilyn Monroe), il direttore del settimanale Chi, conduttore televisivo e regista teatrale, torna con un romanzo appassionante, una storia universale, non solo per amanti della musica. Lo abbiamo intervistato a pochi giorni dall’uscita del suo ultimo libro.

Il suo romanzo su Chopin è un’opera romantica, intessuta di grande tensione esistenziale. Lei dice: “Un uomo è vivo finché vive il mistero che lo avvolge”. Qual è il mistero che l’ha spinta a scegliere Chopin?
«Chopin è il paradigma di una personalità moderna. Lui non si piaceva, non si accettava, odiava guardarsi allo specchio, era un uomo irrisolto sia a livello fisico sia spirituale. Aveva trovato la sua dimensione solo nella musica: in pratica lui doveva “far tornare” con la musica tutto quello che “non tornava” nella sua vita privata. A quei tempi era difficilissimo convivere con la fragilità, con una natura sentimentale non ben definita. Da piccolo, a causa delle ambizioni del padre e della sua posizione sociale, è diventato un piccolo fenomeno. Crescendo, pur sublimando la sua inquietudine nel grande amore per la musica, è rimasto un animo tormentato. Soffriva di attacchi di panico, aveva l’ossessione del cuore, quel suo cuore sempre in tumulto, che non lo faceva dormire, che lo faceva uscire di notte al gelo per cercare tregua, tanto da arrivare a dire: “Voglio morire senza il cuore!”. Ecco, in questo libro volevo raccontare la grande ingiustizia della sua infelicità».

Alcune parti del libro si basano su episodi storici e sui tanti epistolari, lettere tra Chopin e George Sand, o tra Chopin e l’amico della vita Titus…
«Di solito con la scrittura sono una macchina da guerra, stavolta ho impegato tre anni a scrivere il libro. Mi sono documentato, ho studiato molto (che fatica, ma che piacere!). Leggevo, riscrivevo, ho cambiato anche il mio stile, volevo qualcosa di più intimista. Partendo da dialoghi e fatti reali ho romanzato molto, volevo assolutamente rendere giustizia alla vita e al talento di un genio della musica classica. Mi hanno aiutato la passione e la competenza musicale (suono il pianoforte da sempre, prendo ancora lezioni tre volte alla settimana). Su temi come la musica classica non si può improvvisare».

La relazione di Chopin con George Sand è durata sette anni ma è stata asessuata. A lei non interessavano i corpi, ma la magia del talento; lui era attirato dalla natura androgina di lei. La relazione coincise con il più felice momento artistico del compositore. L’arte deve per forza alimentarsi di tormento ed estasi?
«Tra loro i ruoli erano totalmente invertiti: lui era attratto dalla sua mascolinità, dalla virilità che lui sentiva di non possedere. Lei dal suo genio, dalla sensibilità. Il loro è stato un rapporto moderno, anticonformista, documentato in un epistolario bellissimo. Ma grazie a questo e ai suoi tormenti Chopin ha raggiunto vette altissime nella musica, perché non esiste arte senza tormento. L’arte è sempre drammatica, si nutre di questioni irrisolte. Anche quando parla di amore, della sublimazione di un affetto, lo fa sempre attraverso il ricordo, e il ricordo è nostalgia».

Scrivendo il libro quale degli aspetti della complessa personalità di Chopin ha sentito più affini alla sua sensibilità personale?
«Io sono chopeniano, mi identifico moltissimo non solo nella sua musica ma anche nella sua personalità: anch’io ho sofferto di attacchi di panico, sono una persona inquieta, mi sento per molti versi irrisolto. E anch’io senza la musica non potrei vivere». (ndr. Poi mi spiazza, prendendo il cellulare e facendomi ascoltare lo studio Tristesse di Chopin, secondo lui impedibile!).

Da piccolo il compositore disse alla madre: “Sì, mamma, con la musica esagero. Ma se viene da Dio la voglio perfetta, altrimenti è solo rumore da uomini”. Cosa c’è di così speciale nella musica di Chopin?
«Lui amava Bach e la musica di Bach è tutto ciò che di perfetto e compiuto c’è nella musica classica. Bach devi suonarlo, non puoi interpretarlo. Invece Chopin è il contrario. Le sue note sono sospensioni del silenzio, nella sua musica ci sono pause senza suono, le note non sono inserite in schemi precisi e ripetitivi. La sua musica sublime parla a ognuno in modo diverso».

Dall’attività solitaria della scrittura di romanzi alla conduzione del Grande Fratello, alla regia teatrale della Turandot di Giacomo Puccini, al lavoro giornalistico quotidiano. Alfonso Signorini è uno, nessuno, centomila. A cosa non rinuncerebbe mai?
«Dico la musica, perché – come il titolo del libro – è l’unica cosa che non muore mai. Mi piace parlarne sui libri, continuerò con la regia teatrale e con tutte le iniziative per divulgarla in tv (ndr. la Turandot che ha diretto sarà trasmessa presto su Canale 5). Le note sono la mia linfa vitale, anche se non potrei mai scegliere solo una delle cose che faccio, perché tutte in maniera diversa mi stimolano e mi divertono».

Eleonora Molisani @emolisani

(Foto di Andrea Zaupa)