19 novembre 2019

«Piacere, vi presento Michael Holbrook»

 

L’ultimo disco di Mika è un percorso a ritroso nelle tappe, anche dolorose, della sua vita

My name is Michael Holbrook non è soltanto il titolo del quinto album in studio di Mika, anticipato da cinque brani (tra cui Tiny Love e Ice cream) che sono già nella top 10 delle canzoni straniere più scaricate. My name is Michael Holbrook è anche una confessione che il poliedrico cantautore libanese-americano ha voluto fare a se stesso ripercorrendo a ritroso, in un inedito sforzo introspettivo, le tappe più dolorose e importanti della sua vita.

«Io, quel nome, Michael Holbrook, l’ho sempre odiato, me ne vergognavo come se non mi appartenesse. C’era solo Mika, prima. Ricordando a tutti il mio vero nome ho cercato di rimettere insieme i fili della mia esistenza, facendo finalmente incontrare il performer che tutti conoscono con il mio io più intimo, quello che ho nascosto per troppi anni» spiega, con quella disponibilità umana che lo ha reso celebre al grande pubblico, non solo sul palco ma anche nelle sue frequenti apparizioni tv (CasaMika, X Factor, The Voice francese).

Seduto sul divano di uno studio milanese, Mika rimarca il concetto con la consueta generosità: «Se non fossi riuscito a a far incontrare Michael e Mika non sarei più riuscito a scrivere un altro album, e io sarei diventato un uomo insoddisfatto».

Perché avevi litigato con Michael?
«Per proteggermi, per rimuovere le cose dolorose. Che cosa vuol dire, se uno si vergogna del nome che appartiene a suo padre?».

L’album è anche, dunque, un modo per riconciliarti con tuo padre…
«Non volevo essere come lui. Solo ora mi sono accorto che tutto quello che ha fatto era dettato dalla voglia di dare un futuro ai suoi 5 figli. Faceva il consulente finanziario e non aveva un grande senso degli affari. Il rapporto forte è sempre stato con mamma, sin da quando, all’istituto francese di Londra, mi cacciarono da scuola».

Cacciato, perché?
«Ero dislessico. Per loro ero stupido e pigro. Ogni anno la mia insegnante prendeva di mira due o tre vittime e gli rendeva impossibile la vita. Ho sofferto tanto e, se ci ripenso, quella donna avrebbe dovuto andare a processo per gli abusi che ha commesso».

E poi che cosa è successo?
«A otto anni sono stato nove mesi a casa. Mia mamma ha preteso che studiassi canto. Le devo tutto. Entrai alla Royal Opera House».

Nel disco c’è anche un brano molto poetico dedicato all’incidente di tua sorella maggiore Paloma. Hai voglia di raccontarmi qualcosa?

«Paloma è nata disabile, con la parte sinistra mezza paralizzata. Il giorno stesso in cui si è trasferita a vivere da sola, è caduta dalla finestra del quarto piano. Vivevo a uno stabile di distanza dalla sua abitazione. Sono corso subito. È stato terribile».

Come definiresti musicalmente il tuo nuovo album?
«È un viaggio al servizio delle emozioni, una medicina, si sente il colore, il calore, i testi sono cupi ma ti fanno ballare, con un mix di sound uniti dal racconto e dalla voce, in modo organico, come non si usa fare più. E poi questo disco nasce da un’altra urgenza…».

Quale?
«Ho 36 anni. Non c’è niente di più vecchio di uno che continua a fare il ragazzino quando non lo è più. È il mio album della maturità».

Michael si sente più musicista, showman televisivo o designer?
«Il design per me è storytelling. La tv mi piace e, forse, tornerò a farla, ma a modo mio, seguendo il mio istinto. Quanto alla musica, sono nato musicista».

Ti senti più americano, francese, inglese o libanese?
«Vivo tra le mie case a Londra, Miami e in una magione a 35 km da Firenze, dove vado a scrivere, in compagnia di mia sorella. Di passaporto sono statunitense, ma mi sento più europeo dei miei amici europeissimi. Poi, è chiaro, mi piacerebbe vivere su una barca a vela. Sono un sailor».

C’è qualcosa del mondo di oggi che non ti piace?
«Tutto è immagine. Troppo. Sui social è una gara a sminuire gli altri. E la politica attuale si regge sull’odio, sulla paura del diverso, sull’ignoranza. Sembra che l’Europa abbia come unico obiettivo quello di preservare quello che ha senza guardare avanti, al futuro».

Chi guarda al futuro?
«I ragazzi che scendono in piazza, come Greta Thunberg. Ne ascolti il tono di voce ripetitivo, e hai un’impressione. Poi leggi una trascrizione e ti illumini: è forte, intelligente, potente. Forse è troppo sola. Ci vorrebbero una, cento, mille Greta Thunberg».

Dodici tappe in Italia, a partire dal 24 novembre. Come sarà il Revelation Tour?
«Essenziale, senza scenografia né effetti speciali. L’attenzione sarà puntata solo sulla musica. Vedrete: sarà una festa sporca, energica, romantica. Senza ballerini sul palco, solo luci e tanto sound».

Di Paolo Papi