Di grammatica non si muore: intervista (semiseria) a Massimo Roscia

30 agosto 2016

Di grammatica non si muore, di Massimo Roscia (Sperling & Kupfer, € 15,90), è la prima opera che dà voce alla “mutina”; un libro ideale per i single anche se i verbi sono tutti rigorosamente “coniugati”; l’unico manuale che promette ai lettori “il rimborso al primo sbadiglio”.
Sì, perché alzi la mano chi non ha mai avuto un attacco di narcolessia durante le lezioni di grammatica ai tempi della scuola. Oggi il linguaggio scritto e parlato è sempre più complesso (perché si sa, la lingua è un fenomeno vivo e in evoluzione, per fortuna!); i nativi digitali si esprimono in modo sempre più rapido e sincopato; il mondo della comunicazione viaggia alla velocità della luce, eppure troppo spesso chi insegna non è al passo con i tempi.
Ecco allora che un manuale di grammatica fuori dagli schemi è davvero una manna per chi l’ha sempre odiata (e quindi la maltratta ogni giorno, in ogni situazione) ma anche per chi crede di padroneggiarla e ha voglia di fare solo un simpatico “ripassino”.

In ogni caso si ride, grazie al dotto ma scanzonato Massimo Roscia che, un po’ Rodari e un po’ Flaiano, passa in rassegna le fondamenta dell’italiano e si diverte a calarle in esempi contemporanei (dai ritmi rap alle serie tv, dai fantasy ai videogame); ironizza sugli svarioni più comuni (dall’uso maldestro dell’accento all’abuso disinvolto dell’apostrofo); inventa giochini promemoria per non essere più indotti in errore; si batte per la salvaguardia delle forme verbali ormai in estinzione (come il congiuntivo), e invoca il debellamento della pandemia di “ciaone” e “apericena”.

“Perché l’Omino Bianco è nero?
Perché il dentista ci chiede se sentiamo dolore solo quando non possiamo rispondere?
Il coccodrillo come fa?
Perché Bart Simpson ha solo quattro dita?
Quando si mette il punto e virgola?”

Nel tuo libro dai finalmente voce a tutti quelli che si domandano se la punteggiatura sia un’opinione,  la consecutio temporum una parolaccia e il nome di battesimo di Darwin sia “Ciao”. Pensi davvero che si possa far amare una materia ostica come la grammatica?
«E perché no? Prendi la verdura. Farla mangiare ai bambini risulta spesso un’impresa titanica. Un piatto di spinaci e iniziano i mugugni; sul cavolfiore scendono le prime lacrime e con la bietola bollita c’è bisogno dell’esorcista. Eppure, con un po’ di pazienza, tanto amore e un pizzico di fantasia – doti che non difettano a nessuna mamma – i piselli disegnano una ranocchia sorridente, gli asparagi si arrotolano e diventano lumache, il passato di broccoli è un lago verde su cui galleggiano barchette di pane e zucchine, carote e ravanelli sono le tessere che compongono un coloratissimo mosaico. Il bambino si diverte, mangia e si nutre correttamente. In fondo la grammatica non è che un gioco (con le sue regole, i suoi stimoli e i suoi piaceri) e, proprio come la verdura, è sana e nutriente».

Qualcuno potrebbe obiettare: “Un uso ineccepibile della grammatica serve solo a chi la usa per lavoro, se da grande voglio fare il tronista non è necessaria”. Quali sono i motivi per cui  bisognerebbe studiarla tutti?
«L’idea della lingua come elemento di differenziazione sociale mi fa rabbrividire. Scrivere e parlare bene serve a tutti; serve a ragionare bene e comprendere meglio, comunicare in maniera più chiara ed efficace, trasmettere i propri sentimenti. Che si tratti della rinegoziazione del mutuo per la prima casa, la prenotazione di un albergo, l’acquisto di due etti di prosciutto crudo (mi raccomando, tagliato sottile) o l’iscrizione a un torneo di burraco, una conoscenza dignitosa dell’italiano e delle sue regole grammaticali di base tornano utili a tutti. E poi – non dimentichiamolo – la lingua non può essere ingenerosamente ridotta a un insieme di codici e sottocodici, ma rappresenta un contenitore di valori, un patrimonio da tutelare, un bene culturale e, dato non trascurabile, il principale strumento della comunicazione».

“Dammi un attimino, finisco di briffare il team sull’efficientamento delle skills e te lo delivero in real time. Questo è il giusto mood.
Mi dispiace che dovrai saltare il lunch per colpa mia. Già che ci sei, ricordati di individuare una location, attenzionare gli influencer, coinvolgere gli stakeholders e quant’altro”.

Dici di non essere un conservatore ma te la prendi con l’uso spregiudicato dei neologismi, dello slang (meglio gergo?) giovanile e della contaminazione della lingua. Ma è davvero possibile oggi evitare termini come location, taggare, lovvare…
«Un conservatore? Io? Tutt’altro (con tanto di elisione e, quindi, di apostrofo). So bene che la lingua è un organismo vivente che muta e accoglie costantemente nuovi vocaboli e locuzioni (che vivono costantemente tra la simpatia e la diffidenza, l’accettazione e il rifiuto, l’effimero e il duraturo). Il processo è spontaneo e fisiologico. Io stesso, del resto, arricchisco il mio lessico con i neologismi, qualche (ho detto qualche) forestierismo e tecnicismo e, ogni tanto, mi faccio un selfie (e non un «autoscatto amatoriale realizzato senza l’ausilio di un temporizzatore e senza alcuna velleità artistica con la fotocamera integrata del telefonino intelligente e destinato a una condivisione, auspicabilmente virale, sulle principali piattaforme digitali sociali»). Alcuni neologismi – sulla cui sorte sarà la comunità dei parlanti a decidere – sono anche simpatici (petaloso e webete, di freschissimo conio); altri, spesso utilizzati fuori dal contesto e con tono sussiegoso, non riesco proprio a mandarli giù (attenzionare, promozionare, situazionare, efficientare, agendizzare, briffare, ocheizzare…). Ma è sull’apericena e i suoi derivati – argomento sul quale potrei scrivere un libro intero – che mi si occlude la vena e scatta l’istinto omicida».

Nel manuale non mancano cenni al linguaggio dei social; esempi di errori clamorosi che non risparmiano neanche addetti ai lavori come i giornalisti e veri colpi di scena sull’uso degli accenti e sulla pronuncia di molte parole di uso comune (siete sicuri di sapere come si pronunciano i termini guaina e diatriba?).

Eppure, nonostante la full immersion, alla fine di grammatica non si muore, ma di risate sì. Grazie Massimo Roscia, era dal Paleozoico che non ridevo così leggendo un libro!

Eleonora Molisani