Amy Winehouse, la vera storia al cinema

09 September 2015

Bomba numero uno. Un video sgranato, casalingo, girato a una festa dei 14 anni. Lei ride, mangia chupa-chups e fa la scema con le amiche. Sembra solo una ragazzina come tante, finché non canta Happy Birthday… E, colpo al cuore, arriva “quella” voce. Unica, inconfondibile anche per chi non è stato un suo fan: è poco più che bambina ma è già la Amy Winehouse che tutti abbiamo conosciuto, la soul singer inglese spezzata dagli abusi e dalla fragilità a 27 anni, nel 2011. Amy – The girl behind the name, documentario di Asif Kapadia, è a prova di lacrime fin dalle prime scene: ci porta subito vicino a lei, al di là del mito e dentro il cuore della tragedia. Cerca “la ragazza dietro il nome”, come dice il sottotitolo del film che, presentato e applaudito all’ultimo festival di Cannes, sarà nei nostri cinema per tre giorni (15, 16 e 17 settembre). Racconta come il successo possa bruciare i più sensibili, ed Amy era così pura e sincera a cominciare dai testi delle sue canzoni. Senza maschere a difenderla dal tritacarne della celebrità.

Lo dicono i video e le interviste (oltre 100) a quelli che l’hanno conosciuta, amici e musicisti, fidanzati o parenti. Ci sono la madre Janis e il padre Mitch, che lasciò la famiglia quando Amy aveva nove anni per tornare presente e pressante dopo il suo successo. Che non arrivò col primo album, Frank del 2003, ma nel 2007 con Back to Black e le sue hit, da Rehab e Love is a losing game. Vincerà cinque Grammy. E qui…

Bomba emotiva numero due. Nel documentario vediamo la Winehouse imbambolata e incredula mentre guarda  sullo schermo la cerimonia dei Grammy e scopre di aver vinto. Lo stesso anno sposa Blake Fielder-Civil e, innamorata persa e già incline agli abusi, lo segue sulla china delle droghe pesanti e negli andirivieni dai rehab. Ne parla lo stesso Blake nel film (ma non si è fatto riprendere durante l’intervista, appare solo in immagini di repertorio). Si lasciano due anni dopo, e il lento bruciarsi della stella del soul continua inarrestabile. Lo raccontano il suo primo manager Nick Shymansky e le amiche d’infanzia Juliet e Lauren, che hanno cercato invano di aiutarla. La stessa Amy, d’altronde, l’aveva intuito. In un’intervista degli inizi, quando cantava nei club, dice: «Mi piace esibirmi qui, con un piccolo pubblico. Se avessi successo, non lo reggerei. Andrei fuori di testa».

Valeria Vignale @vavign

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