Alfonso Signorini racconta per la prima volta se stesso in “L’altra parte di me”

19 novembre 2014

Dopo una vita passata a raccontare le storie degli altri, il personaggio pubblico Signorini lascia spazio all’uomo Alfonso, con le sue luci e le sue ombre. Ma sarebbe riduttivo definire L’altra parte di me (Mondadori, € 18; e-book € 9,99) un semplice memoir, perché dentro, oltre alla vicenda umana, ci sono alti e bassi di una lunga carriera, e un bel po’ di storia del costume italiano.

Non è facile mettersi a nudo con brutale sincerità. Qual è stata la spinta? «Non credo che la mia vita sia più esemplare di altre, ma penso che raccontare di obiettivi raggiunti possa essere uno sprone per molti. La libertà più grande della vita professionale è non dover dire grazie a nessuno: significa che tutto quello che è stato conquistato è frutto di impegno, sacrifici, amore per quello che si fa».

Dal libro emerge il volto inedito di una persona a cui la malattia ha cambiato la vita e lo sguardo sul mondo… «Ora che la leucemia è sotto controllo, posso dire che è stata un dono. Mi ha insegnato a curarmi e a coccolarmi, a dare spazio alle piccole gioie, a regalarmi momenti di meditazione e riposo. Al contrario di un tempo, ora decido di fare solo quello che mi piace, evito le cose inutili, quelle che poi non mi lasciano niente».

Ha chiesto scusa per il titolo sul ministro Madia. Dopo anni di “onorata carriera” quanto le è costato? «Non ho mai avuto problemi a chiedere scusa. Ma la mia è stata solo ingenuità; un momento di incosciente goliardia: chi mi conosce sa bene che non sono un sessista ed ero in totale buona fede. Non sono mai stato un tipo con il cosiddetto “pelo sullo stomaco”, quindi non avrei mai fatto volontariamente qualcosa che potesse ferire una donna. Del resto sono noti il mio rispetto e la mia amicizia nei confronti delle donne».

Nel libro ci sono molti personaggi che hanno fatto la storia del nostro Paese e lei ha avuto la fortuna di incontrare. Un nome su tutti? «Dico Margherita Hack. Ho trascorso tre giorni pienissimi con una donna che, nonostante l’età avanzata, aveva ancora un entusiasmo e una curiosità verso la vita che erano contagiosi. Oggi faccio fatica a immaginare persone che possano essere punti di riferimento ed esempi di vita per le nuove generazioni. La Hack, che era una scienziata ma anche molti di più, era la dimostrazione che lo spirito non invecchia mai. Vorrei arrivare anch’io all’età in cui è arrivata lei con quella fame di vita».

A proposito di “fame di vita”, lei dice di essere diventato Signorini proprio grazie a quella. Di cosa si tratta esattamente? «La fame di vita non è ambizione o voglia di emergere. Non è fame di potere e di denaro. Non sono stati questi elementi a spingermi dove sono arrivato. Per fame di vita io intendo l’entusiasmo, la spinta naturale a migliorarsi, l’amore per il proprio lavoro ma anche per tutto quelli che si fa in generale. È energia vitale, essere curiosi di tutto senza essere giudicanti, la voglia di scoprire, conoscere. In poche parole è la magia che ci permette di realizzare i nostri sogni».

di Eleonora Molisani @emolisani