L’intervista: Tom Drury in A caccia nei sogni racconta l’incanto delle vite semplici

14 novembre 2017

Dopo La fine dei vandalismi, arriva A caccia nei sogni (NN Editore, € 18; e-book € 8,99), secondo volume della trilogia di Grouse County, dell’americano Tom Drury

Tom Drury con A caccia nei sogni ritorna a Grouse County per raccontare pochi giorni cruciali nella vita della famiglia Darling. In una cittadina immaginaria del Midwest americano Tiny e sua moglie Joan vivono con il figlio Micah di sei anni, e con la figlia di lei, Lyris, di 16 anni, tornata in famiglia da poco, dopo aver vissuto altrove perché data in adozione subito dopo la nascita.

L’autore descrive il microcosmo di questo nucleo familiare in un’istantanea che dura un solo weekend: poche ore in cui gli avvenimenti si dilatano come dentro un lungo sogno. Tiny fa di tutto per acquistare da una vedova del luogo un vecchio fucile legato ai suoi ricordi d’infanzia, desidera a tutti i costi metterlo in bella mostra sulla parete di casa. Sua moglie Joan è nella fase della vita in cui si va a caccia delle aspirazioni perdute; la giovane Lyris ha bisogno di trovare dei punti fermi da cui partire per poter crescere e realizzarsi come donna, e il piccolo Micah desidera solo sfuggire al buio, che gli fa tanta paura.

Da La fine dei vandalismi, romanzo corale la cui epica è animata da sceriffi, contadini, vagabondi e pensionati eccentrici, Drury si concentra ora su un frammento di quel mondo, sui turbamenti interiori dei suoi quattro personaggi, anche se trama e territorio nei suoi libri rimangono sempre un unicum indissolubile.

L’autore americano si conferma un cantore mai banale delle vite semplici, sempre sospese tra la commedia e la tragedia del vivere quotidiano. Con il suo sguardo ruvido, la grande forza dei dialoghi e dei monologhi interiori, attento a tutte le sfumature dei sentimenti, mette in scena l’incanto dell’ordinario tenendo il lettore sospeso tra sorriso, tenerezza e commozione.

Lo abbiamo incontrato alla Libreria Verso di Milano, in occasione della presentazione di A caccia nei sogni.

Negli Usa ha pubblicato La fine dei vandalismi nel 1994, A caccia nei sogni nel 2000 e il terzo capitolo della trilogia, Pacifico (che uscirà sempre con NN), nel 2013. Il primo è un romanzo più corale, il secondo più intimista e concentrato sul microcosmo familiare. Negli anni è cambiato lei, la sua idea di scrittura o altro?
«Nella vita si cambia, come persone e come scrittori, e a me piace il cambiamento. Ho ripreso quei personaggi ma volevo fare qualcosa di completamente diverso, pur tenendo fede alla precisione formale con cui curo le mie storie, che sono abituato a scrivere e riscrivere, modificando, tagliando, limando, finché non mi sento soddisfatto del risultato. Però è stato divertente riprendere in mano quelle vite, perché mi ero affezionato molto ai personaggi e volevo vedere come si erano evoluti, seguirli mentre invecchiavano».

Nonostante ciò che avviene a Grouse County sia il riflesso di cambiamenti più grandi, lei non fa mai cenno ai fatti che avvengono nel resto del mondo. È una precisa scelta autoriale?
«Ho preferito evitare riferimenti storici precisi per non connotare troppo le storie, perché rimanessero universali, valide sempre e per chiunque. Tristezza, morte, amore, tradimento: le grandi emozioni accadono ovunque ci siano delle persone pronte a provarle. Ma c’è da dire che gli States non sono quello che siamo abituati a vedere nei film, o che molta gente in Europa immagina. L’America è fatta di contee, che sono microcosmi. La gente ha un forte senso della comunità, specie nei posti piccoli e rurali. L’universo relazionale è limitato, tutti sanno tutto di tutti e, quando accade qualcosa, più che alle istituzioni ci si affida al proprio parente o al vicino di casa. Io sono cresciuto in luoghi così e lì l’attualità resta completante tagliata fuori dalla vita della maggior parte delle persone. Sono andato via dai tempi del college, ma non è che le cose siano cambiate molto».

Lei ha studiato giornalismo all’Università e dopo aver lavorato nei giornali ha cominciato a fare lo scrittore. Come e quando ha deciso di cambiare strada? E gli studi di giornalismo sono utili nel mestiere dello scrittore?
«Da Swaledale, un piccolo paesino dello Iowa, sono andato a studiare al college a Providence. Poi, da adulto, mi sono trasferito in Europa, a Berlino. In realtà volevo fare il romanziere fin dai tempi del liceo, ma ho pensato che diventare giornalista mi aiutasse a guadagnare soldi per sopravvivere. Ho lavorato nei giornali per cinque anni, poi ho fatto una scelta drastica: mi sono iscritto a un corso di scrittura creativa perché avevo bisogno di leggere più letteratura, conoscere meglio la narrativa internazionale, imparare alcune tecniche di scrittura. Ma è stato un periodo bellissimo e stimolante, che alla fine mi ha permesso di realizzare il mio sogno. E credo che il giornalismo mi sia stato utilissimo per questo mestiere, perché facendo quel lavoro ho sentito così tante storie, conosciuto così tante persone, da affinare molto il mio sguardo sui dettagli del mondo che ci circonda e sulle emozioni».

Eleonora Molisani @emolisani