monica contrafatto bronzo

Monica Contrafatto: dall’Afghanistan alle Paralimpiadi di Tokio

06 settembre 2021

Monica Contrafatto, bronzo a Tokio nei 100 mt femminili delle Paralimpiadi, ci racconta la sua storia. Iniziata in un piccolo paese della Sicilia

 

Il bronzo a Monica Contrafatto nei 100 metri femminili della categoria T63 delle Paralimpiadi di Tokio. Una medaglia che l’atleta dedica all’Afghanistan, un Paese che ama. Nonostante nel marzo 2012 sia rimasta vittima di un attentato terroristico alla base italiana nel distretto del Gulistan. Le schegge delle bombe da mortaio lanciate all’interno avevano causato l’amputazione della gamba destra. Ma lasciamo che sia lei a raccontarci la sua storia. 

«A decidere della mia vita è stato un amore fulminante. In occasione dei Vespri siciliani (un’operazione di polizia), a Gela arrivarono i bersaglieri. In mimetica, fez e foulard cremisi. Mi sono innamorata di quella divisa e ho cominciato a sognare un futuro nell’esercito. Ma partiamo dall’inizio. Sono nata 40 anni fa a Gela, in provincia di Caltanisetta, e lì ho trascorso un’infanzia serena. Giocavo in strada, a calcio e a biglie, insieme ai maschi.

Anche l’adolescenza è stata tranquilla, sebbene io fossi un po’ pazzerella. Ero iscritta a ragioneria, studiavo poco ma ero attenta in classe e facevo in fretta i compiti per dedicarmi allo sport. Sono socievole, avevo tanti amici e una gran sete di vita e di libertà. I miei, papà impiegato all’Agip, mamma casalinga, erano severi: ma se non lo fossero stati, non sarei rientrata a casa la sera!.

Mi sono diplomata nel 2000. Quell’anno il Parlamento dava il via libera all’ingresso delle donne nelle Forze Armate. Non mi sembrava vero, ma mio padre mi fermò. Mi disse: “Laureati, poi si vedrà”. Ho studiato scienze motorie ma a 25 anni ho vinto il concorso per il VFP 1. Sono i Volontari in ferma di un anno, trascorso a Bracciano. Poi ho vinto quello per VFP4, cioè per prestare servizio per quattro anni».

Monica Contrafatto bronzo ricorda l’attentato dei talebani

«Durante questo periodo ho partecipato a varie missioni nazionali. Tra queste, Strade Sicure e G8, e la prima missione di pace, in Afghanistan. Ci sono tornata una seconda volta nel 2012. Ero lì solo da un mese quando i talebani hanno lanciato una bomba che ha causato un morto e due feriti gravi. Uno di questi ero io. Le schegge hanno colpito l’arteria femorale e l’intestino, provocando emorragie interne. Sono rimasta vigile fino all’arrivo all’ospedale da campo, dove mi hanno sedata. Mi sono svegliata in Germania in un ospedale militare americano.

La gamba, andata in necrosi, era stata amputata. Non ho particolari ricordi del risveglio. Ero sotto l’effetto della morfina, ma consapevole delle conseguenze. Riformata, perché non più idonea, e quindi molto arrabbiata. In fondo, non avevo perso la gamba mentre giocavo a calcio! Ma un giorno, mentre facevo zapping dal mio letto d’ospedale, mi sono fermata su una gara di corsa. Ai blocchi di partenza, tutte ragazze senza una gamba».

In ospedale la decisione: avrebbe gareggiato

«Ho deciso in quel momento di partecipare alle Paralimpiadi del 2016. Rientrata in servizio effettivo, ho cominciato ad allenarmi. Un paio di mesi dopo sono caduta e mi sono fatta male all’altro ginocchio. Mentre facevo riabilitazione in piscina, volevo mollare tutto. Ho continuato grazie alla mia allenatrice Nadia Checchini, che mi chiamava tutti i giorni. Finché, dopo un anno, mi ha convinta a riprendere a correre. La Federazione mi ha convocata per il Campionato mondiale di atletica leggera del 2015. Sono arrivata quinta, ma è stata una vittoria. Perché per la prima volta ho indossato la maglia azzurra.

Poi ci sono state altre vittorie. Un bronzo alle Paralimpiadi a Rio e un argento ai Mondiali di Dubai nei 100 mt, dopo un secondo posto anche agli Europei di Berlino. Imparare a correre con la protesi non è stato facile, ma io mi motivo da sola. Sono testarda, voglio superare me stessa. Anzi, più un obiettivo è irraggiungibile, più voglio raggiungerlo. I miei all’inizio erano disorientati. Oggi però mio padre, che ama lo sport, è felicissimo. Mia madre invece guarda solo me!.»

Monica Contrafatto dalla mimetica al bronzo

«Oggi, anziché la mimetica, indosso la divisa azzurra, ma sono sempre io, anche senza una gamba. Vivo a Roma, ho tanti amici che non mi hanno mai fatto sentire diversa, amo il mio cocker e ho una passione incontenibile per le sneakers. Ne posseggo di tutti i tipi e costi, dai 20 ai 1000 euro. Tre anni fa ho raccontato la mia storia in un libro. Il titolo: Non sai quanto sei forte (edito da Mondadori). Per dire che non bisogna mollare. Qualsiasi cosa accada, puoi fare tutto tranne piangerti addosso.

Anche perché se lo fai rischi di allontanare chi ti vuole bene, diventi un peso. La vita, bella o brutta, va vissuta a pieno. Certo, l’ultimo anno è stato difficile. Durante il lockdown ho sofferto di un disturbo post traumatico da stress. Colpisce chi ha subito un trauma. In pratica, non avevo mai elaborato l’esperienza dell’attentato. La pandemia ha riportato alla coscienza quello che era sepolto. Ho iniziato ad avere attacchi di panico e paura di morire.

Per far fronte, è servita la psicoterapia, che fa luce sul buio interiore. Mentre lo sport mi aiuta a scaricare la tensione». E anche a vincere, visto lo splendido risultato ottenuto a Tokio. Bravissima Monica, un grande esempio per tutti. E grazie per aver fatto ancora una volta brillare l’Italia. 

Di Cinzia Cinque – foto Getty Images