Che scarpe mi metto?

06 August 2014

Voi, care lettrici di Tu Style, mi chiedete “che scarpe mi metto?”. Domandare a chi ha trasformato settanta metri quadrati di appartamento in una scarpiera en plein air che genere di rapporto abbia con le scarpe, è come chiedere ad un diabetico che sensazioni prova entrando in una pasticceria. In cucina un paio di sandali, arancioni, campeggia sopra il frigorifero, in camera da letto, contro la testiera, appoggiata al gradino un paio di tronchetti blu elettrico per fermare i libri della notte.

Ora, appurato che per me i negozi che espongono tacchi, zeppe, stiletti e plateau sono un richiamo ancestrale che nemmeno le sirene dei poemi epici, sprigionavano tanta forza, sono fermamente convinta di una cosa. Sono le scarpe a sceglierci: ci guardano languide, attraverso i vetri, posate di tre quarti come voluttuose modelle, e hanno lo stesso sguardo ipnotico di quei cuccioli che ti fissano attraverso le gabbie delle sbarre di un canile e che sanno, prima che lo realizzi tu stesso, che diventerai il loro padrone.

E non si tratta si una questione di quantità: più paia ho e più ne vorrei. Devo toccare, provare, testare e pagare. Non necessariamente in questo ordine. Mi è successo, perfino di acquistare a scatola chiusa, magari presa dalla frenesia di quel trenta per cento di sconto che rendeva un sandalo dal tacco impossibile più avvicinabile, almeno a livello di prezzo. La mia è una fissazione che dura da quando, gattonavo nei tacchi di mia madre, rubati nell’armadio e che, a trent’anni suonati, non vuol sapere di estinguersi.

Ma torniamo alla domanda: “Che scarpe mi metto?” Ancora una volta sono loro a scegliere per me. Come un buon metronomo per l’umore, se mi sveglio “dinamica” opterò per un paio di sneakers perché lo stiletto ha il suo appeal, ma la corsa ad ostacoli tra i sampietrini di Milano e i gradini del metrò, non colgono la poesia del tacco. Adoro le All Star, ne possiedo almeno cinque paia, pratiche e coloratissime, sono modaiole quanto basta per non incorrere nell’anatema della ballerina. Nulla contro le donne che le scelgono, per carità, ma su una “diversamente alta” come me, hanno la capacità di trasformarmi in una dodicenne con un principio di zampe di gallina. Decisamente, non un bello spettacolo.

Le slippers le tengo in casa: cosa c’è di meglio di una pratica pantofola di velluto per godermi le mie serie preferite in televisione? Ma, se devo andare in ufficio, porto il tacco in borsa, emulando le newyorkesi senza calze, mentre fuori imperversa la tempesta, correre veloci sui marciapiedi o risucchiate nell’underground con ai piedi, un paio di runner con il baffo. Faccio lo stesso: comoda durante il viaggio e, appena entro nel mio antro, chiudo la porta a chiave ed effettuo il cambio. In realtà, nella cassettiera sotto il computer, tengo anche un paio di décolleté di vernice nera: sono un passepartout e mi fanno sentire subito elegante perfino con un jeans e una maglietta bianca.

La sera, dipende: se esco con le amiche, tacco comodo (alto ma largo per non rischiare di finire in traumatologia inciampando in un tombino) o zeppa, che anche in caso di innalzamento di gradazione etilica aiuta a mantenere l’equilibrio, ma, se c’è il principe azzurro ad accompagnarmi, sfodero le mie Louboutin, suola rossa e stiletto che richiederebbe il porto d’armi, e mi appoggio al mio cavaliere. Sapendo che la serata prenderà un’ottima piega. A conferma che, “La vita è una Loubou meravigliosa”.

@BeaBuozzi

* Bea Buozzi è autrice della trilogia Il club dei tacchi a spillo (Mondadori): Matta per Manolo, Tutte Choo per terra, La vita è una Loubou meravigliosa.