La trovata geniale è il “negozio delle chiacchiere”: luogo magico in cui chiunque ha la garanzia di trovare conforto nei momenti “no”. Lo avevamo già apprezzato (tanto!) in Cento giorni di felicità, primo romanzo di Fausto Brizzi, e lo ritroviamo in Se mi vuoi bene (Einaudi Stile libero, pagg. 300, € 18; e-book € 9,99) che – l’autore ci tiene a precisare – non è il sequel del suo primo successo editoriale. Diego Anastasi ha 46 anni, fa l’avvocato, ha un matrimonio fallito alle spalle e una depressione nuova di zecca in corso. Ma nel momento del bisogno scopre che le persone che ama non hanno tempo e voglia di occuparsi di lui.
Diego è circondato da amici e parenti ma quando sta male si accorge di essere solo…
«Lui lancia un SOS, ma il mondo è distratto. La gente ha bisogno di essere ascoltata, per quello ho ideato il “negozio delle chiacchiere”, un rifugio accogliente per le anime sole e depresse. Lì Diego conoscerà persone che riusciranno a dargli il calore umano di cui ha bisogno, le parole giuste ma – soprattutto – una solidarietà fatta di gesti concreti. Anche se dai risultati spesso discutibili».
Infatti, oltre a riflettere, si ride e si sorride…
«Attraverso situazioni comiche o paradossali Diego impara che non basta dire: “Ti voglio bene”, se poi non sei in grado di fare concretamente del bene agli altri. E attraverso la depressione prende coscienza di non essere stato per gli altri quello che forse avrebbe dovuto essere: una spalla. Così, a cominciare dai suoi genitori, passando per gli amici e concludendo con i suoi due figli, cerca di recuperare il tempo perduto».
Anche in questo libro il protagonista attraversa una crisi esistenziale. Quanto Fausto Brizzi c’è nei tuoi personaggi?
«I protagonisti mi assomigliano molto, specie in questo secondo libro. I miei amici, leggendolo, mi hanno detto che mi hanno riconosciuto. Parlo di una generazione (quella degli over 40) di persone che si interrogano sul significato della loro esistenza, si pongono domande, vivono il presente in modo inquieto cercando un senso più profondo. Penso che le persone totalmente risolte siano anche quelle meno intelligenti».
Alla fine del del libro il riflettore si accende sulla grande differenza tra voler bene e fare del bene. Ce la spieghi meglio?
«In entrambi i romanzi cerco di spiegarlo con l’idea del negozio delle chiacchiere. Oggi abbiamo tutti bisogno di qualcuno che ci ascolti, di persone con cui parlare in modo empatico. Gente che sia disposta a dimostrarci con i fatti il bene che ci vuole. Il mondo va in fretta, siamo sempre di corsa, c’è bisogno anche di luoghi adatti a conoscersi e condividere problemi, sogni, progetti. Mi sono innamorato di questa idea al punto che vorrei aprire un “negozio delle chiacchiere a Roma…».
Sceneggiatore e regista pluripremiato. Ora la narrativa. È un nuovo amore?
«In realtà è il contrario. Scrivevo racconti anche da piccolo e la mia più grande ambizione era quella di fare lo scrittore. Ci sono arrivato attraversando la carriera di sceneggiatore per cinema e televisione, poi attraverso la regia e la produzione cinematografica. Al contrario dei film, in cui sei imbrigliato in problemi di budget e in alcuni schemi prestabiliti, la scrittura di un libro è pura libertà. Mi consente una anarchia narrativa che mi permette di mettere tanto di me stesso in quello che scrivo. È un po’ come fare un figlio a tua immagine e somiglianza. E’ il motivo per cui continuerò a scrivere, finché i lettori continueranno ad apprezzare quello che leggono».
Vista la tua intensa attività di regista e di produttore come trovi il tempo per scrivere?
«In genere mi prendo un periodo di tempo, un mese e mezzo o due, in cui posso dedicarmi almeno sei ore al giorno alla scrittura. Per scrivere bisogna avere il giusto grado di isolamento e di tranquillità, l’ultima volta ho preso una casa di fronte al mare».
Il tuo stile narrativo è brillante, ironico, “generazionale”. Sei una specie di Nick Hornby in salsa romana. Quali sono le tue letture preferite?
«Grazie! Essere paragonato a Nick Hornby mi onora, anche perché tra i film che avrei voluto fare io c’è senz’altro About a boy, tratto dai uno dei suoi esilaranti romanzi. Per quanto riguarda le letture sono della vecchia scuola: penso che chi scrive debba prima di tutto essere un buon lettore. Come generi sono onnivoro: adoro l’acuto Stefano Benni ma anche i best seller di Ken Follet.
Sei già al lavoro su un nuovo film?
«Sto girando il film Forever Young, che uscirà nel 2016. Prendo in giro ancora una volta quelli della mia generazione, in particolare quelli che non riescono a crescere. E me lo concedo perché anch’io faccio parte di loro. Prima di questa intervista ho comprato dei giornalini a fumetti in edicola: li adoro! Sono pieno di entusiasmo: è la prima volta che dirigo una commedia di costume, all’italiana».
Da bravo novello sposo, hai dedicato il libro a tua moglie, l’attrice Claudia Zanella…
«Sì, lei è la mia prima lettrice e anche la mia prima fustigatrice. E’ una persona molto critica ed è bello condividere con quelli che ami anche l’aspetto professionale della vita».
Da regista, che cosa ne pensi dell’Oscar vinto dal film Birdman?
«Mi è piaciuto tantissimo, e lo dico senza esitazione. Così come lo spettacolare Grand Budapest Hotel. Amo più di un regista italiano (Bertolucci, Bellocchio, Garrone), ma al cinema americano riconosco talento e coraggio da vendere. Chi dice che cinematograficamente loro non sono il top non parla in buona fede».
Tanti premi importanti, riconoscimenti, soddisfazioni. Ti rimane lo spazio per un sogno nel cassetto?
«Faccio coming out. Mi piacerebbe rivere la telefonata di Nanni Moretti che mi chiede di scrivere una sceneggiatura per il suo nuovo film. Nanni, chiamami: io sono pronto!».
Di Eleonora Molisani