16 giugno 2017

Intervista a Javier Bardem, pirata e gentiluomo

Sta diventando un mostro sacro, Javier Bardem. Con Pirati dei Caraibi – La vendetta di Salazar,
il 48enne attore spagnolo si è trasformato ancora una volta in un (meravigliosamente) orribile “villain”. Lo ha già fatto da Oscar nel 2008 interpretando l’assassino folle di Non è un paese per vecchi dei fratelli Coen, primo attore spagnolo a conquistare la statuetta. Poi ha dato filo da torcere a James Bond in Skyfall nel ruolo di un criminale biondo, glaciale e spietato (2012). E con la versione più fiabesca della sua furia da grande schermo ha segnato un enorme successo di botteghino: il quinto capitolo della saga dei Pirati dei Caraibi, con la regia di Joachim Rønning e Espen Sandberg, ha totalizzato solo in Italia oltre 10 milioni di euro in tre settimane.

Lui interpreta il “macellaio del mare” Salazar, una specie di zombie sepolto nell’oceano che insegue Jack Sparrow (Johnny Depp) in cerca di vendetta, con una ciurma di fantasmi marinai al seguito. Con tre ore di trucco quotidiano sul set aggiunte alle magie digitali, la faccia scolpita di Bardem è un vero spavento. Ma anche da bruto, Javier è uno che piace da matti. Voce roca, fisico massiccio (giocava a rugby), sembra aderire perfettamente al cliché dello spagnolo caliente. Chissà quante romantiche hanno invidiato la moglie, l’attrice Penélope Cruz, quando le ha dedicato il premio come miglior attore ricevuto a Cannes nel 2010 (per Biutiful di Alejandro G. Iñárritu) dicendo: «Voglio dividerlo con te perché ti sono grato e sei il mio amore». Allora stavano per sposarsi e ora hanno due figli, Leonardo e Luna (di 6 e 4 anni). E pirati a parte, Bardem torna nei cinema il 29 giugno con un altro film e il suo volto di sempre: Il tuo ultimo sguardo di Sean Penn (qui solo regista) è la storia d’amore tra un medico in missione umanitaria e la portavoce di una Ong (Charlize Theron), in un paese africano in guerra. I suoi “mostri”, però, non sono finiti.

La vedremo anche in Escobar, film sul narcotrafficante colombiano, e in Frankenstein. Prova attrazione per i personaggi neri e ombrosi?
«Noi attori siamo curiosi e un po’ avvocati del diavolo: cerchiamo di capire e difendere i nostri personaggi anche quando sono i peggiori killer. Capirne le motivazioni profonde è il
bello del mestiere».

Cosa spiega la fame di vendetta di Salazar?
«L’ho immaginato come un uomo d’onore, forte e orgoglioso come erano gli ammiragli della flotta spagnola. Salazar insegue il giovane pirata che lo aveva affrontato e tradito anni prima. Per interpretarlo ho pensato a un toro ferito, colpito alla schiena ma ancora capace di tirare fuori la grinta e combattere. Ho dato un tocco latino a un personaggio che parla inglese, perché i registi volevano
che avesse qualcosa di speciale, che non fosse già stato visto».

Lei si è sempre detto pacifista: non è dura prestare il volto a uomini brutali?
«I film sono pieni di violenza perché purtroppo la vita lo è, il cinema cerca di guardarla dritta in faccia. E poi non è facile neppure interpretare Gandhi. Quando vidi il film con Ben Kingsley,
a 12 anni, restai così colpito che continuai a disegnarlo per giorni per cercare di catturarne l’anima».

È vero che voleva fare il pittore?
«Mi piaceva molto disegnare volti, a volte caricaturali, tipo fumetto».

Lo fa ancora?
«Solo quando parlo al telefono, ma sono scarabocchi».

Lei è nato alle Canarie da una famiglia di artisti e registi; ha recitato per la prima volta a sei anni insieme a sua madre, ma da giovane non sognava di fare l’attore. Cosa le ha fatto cambiare idea?
«Ho avuto fortuna: ho provato, mi è andata bene ed eccomi qui. Ma ci sono nato dentro, sapevo quanto può essere difficile e quanti non riescono a sbarcare il lunario, almeno il novanta
per cento di chi fa il mio mestiere. Si parla degli attori celebri, ma il mondo è pieno di sconosciuti e sfortunati che ciondolano al bar. E poi in questo ambiente capita a molti di diventare
improvvisamente una star e di essere dimenticati il giorno dopo».

A proposito di celebrità, com’è il chiacchierato Johnny Depp?
«Molto divertente, sempre gentile con tutti. Ed è rimasto lo stesso da quando l’ho conosciuto nel 1999, sul set di Prima che sia notte (diretto da Julian Schnabel, ndr) dove interpretava una drag queen. Il primo giorno di riprese arrivo, vedo una figura femminile da dietro, sinuosa, sottile, e dico ad alta voce: “Bel culo”. “Guarda che è Johnny” mi dicono. “E vabbè, bel culo lo stesso” (ride, ndr). A parte questo, stare con lui è una festa: è un vero clown, alla Jack Sparrow».

Nel prossimo film, Escobar, recita con sua moglie Penélope. Com’è stato tornare sul set insieme dopo l’esperienza di The Counselor, due anni fa?
«Bello. Abbiamo atteso anni per girare questa storia (Bardem è anche produttore, ndr). Penélope interpreta una giornalista, è bravissima, gran lavoro».

In comune avete, tra le altre cose, l’Oscar (Penélope Cruz l’ha vinto nel 2009 per Vicky Cristina Barcelona di Woody Allen). Ne parlate mai?
«No. Se poi le statuette si parlino tra loro, questo non lo so».

Valeria Vignale