Compirà 24 anni in ottobre, ma Mia Wasikowska è ancora perfetta nel ruolo dell’adolescente.
In particolare, in quello della figlia diciottenne di un’instabile Nicole Kidman che, nel thriller Stoker (in sala dal 20 giugno, recensione a pag. 143), perde un padre adorato e acquisisce uno zio adorante che non sapeva di avere. Chi conosce il regista del film, il coreano Park Chan-wook, autore di una celebre e premiata “trilogia della vendetta” (Mr. Vendetta, Oldboy, Lady Vendetta), sa che dai suoi film può aspettarsi di tutto: efferata violenza, ma anche uno stile poetico e un sottotesto filosofico. Quando Stoker è stato presentato al Sundance Festival, Mia si è guadagnata l’insolito titolo di “assassina della porta accanto”. Sorride al ricordo: «Mi fa piacere, perché se c’è un ruolo che non desidero è quello della brava ragazza timorata di Dio. Non parliamo poi della fidanzatina in amore». Anche se è una delle giovani star più lodate e quotate di Hollywood, ha ancora l’aria timida e fragile. Ed è riservatissima. Nata in Australia, ormai terra di divi e dive annunciate, ha il cognome polacco della mamma: «Noi figli abbiamo tutti il suo e non quello di papà. È uno dei misteri di famiglia. E io amo e rispetto i misteri» dice.
Doveva diventare una ballerina classica e il suo fisico minuto ne è spia (un metro e 62 di altezza per 51 chili), ma una caduta e l’ansia da prestazione le hanno fatto cambiare idea. Resa celebre da Tim Burton che l’ha voluta come Alice in Wonderland, negli ultimi tre anni ha girato ben sette film. L’ultimo Only Lovers Left Alive di Jim Jarmush, presentato con grande successo al festival di Cannes. Nel 2014 sarà la Madame Bovary di Sophie Barthes e la protagonista di Maps to the Stars di David Cronenberg, con Robert Pattinson.
Lei come definirebbe Stoker?
«Psico-thriller… Quasi horror… Meditazione sul bene e il male… Psicopatologia della famiglia… Non so, è così complesso! Pieno di citazioni. A cominciare dal titolo: Stoker è lo scrittore che ha inventato Dracula. Guardacaso i personaggi non succhiano sangue, ma sentimenti».
Nel film successivo, Only Lovers Left Alive, ha poi interpretato proprio una vampira…
«Già, la vita è più strana della finzione. Tra l’altro la mia vampira, Ava, è molto trash e ha una sorella ultra-stylish, Eve, interpretata dalla divina Tilda Swinton».
A proposito di divine, com’è stato avere Nicole Kidman per mamma?
«Surreale. È una delle mie attrici preferite, e non solo perché è australiana come me. Sono cresciuta con i suoi film. Premurosissima, mi ha veramente adottato. Invece nel film abbiamo un rapporto impossibile, un triangolo morboso con lo zio, e scene da brivido: in una, urlando, si augura che la vita mi “faccia a pezzi”».
Nicole è rimasta colpita dalle sue letture nelle pause della lavorazione: Anton C ˇechov, Tennessee Williams, David Mamet.
«Leggere apre il cuore e la testa. Finito il liceo, mi sono ritrovata per la prima volta senza compiti e ho iniziato a leggere classici. Arrivata a Jane Eyre di Charlotte Brontë mi sono talmente appassionata che ho chiesto al mio agente se qualcuno ne stesse preparando una versione cinematografica. È così che ho avuto la parte nel film uscito due anni fa».
Ha altri classici da portare sullo schermo?
«Certo, Madame Bovary! Li adoro al punto che penso di essere nata in un secolo sbagliato. Quanto ho ammirato Keira Knightley in Orgoglio e pregiudizio e Anna Karenina…».
Perché ha smesso di ballare?
«Troppa intensità. La ricerca di perfezione può asfissiare. Recitare mi sembra più umano, perché bisogna cogliere e sottolineare anche i limiti e i difetti dei personaggi».
La conquista più difficile per un giovane attore?
«L’autostima».
Un consiglio che viene dalla sua esperienza?
«Trovarsi anche un altro sfogo creativo. Sul set ci sono molti momenti morti e non c’è niente di peggio che annoiarsi, a me sembra di perdere tempo».
Quindi, che fa?
«Quando non leggo, scatto foto. Mia madre è una fotografa, mi ha prestato una sua vecchia Rolleiflex. Anche mio padre era un fotografo, ma oggi preferisce dipingere».
Essere figlia di due artisti l’ha preparata a diventare attrice?
«Con alcuni pro e contro. I fotografi seri, se diventi il loro soggetto, ti dicono sempre di non sorridere. E davanti alla macchina da presa devo cercare di dimenticare questo consiglio, altrimenti rischio di non essere mai coinvolta in una commedia…».
Il successo la spaventa?
«Non sognavo di diventare famosa. In Australia prendo ancora l’autobus. Mi piacerebbe farlo anche in America».
Nessun problema con l’accento americano?
«Se glielo dico perdo il mio alone di mistero».
Ma no, glielo garantisco…
«Mi sono allenata da bambina, senza saperlo: andavo pazza per i Muppets. E a forza di scimmiottarli…».
di Marco Giovannini