Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina tornano al Festival di Sanremo dopo il successo dello scorso anno. «Perché su alcuni temi bisogna ancora insistere»
La rappresentante di lista. Funamboli, capaci di cambiare pelle e restare fedeli a loro stessi. Da più di 10 anni, da quando, aspiranti attori, si sono conosciuti a un corso di teatro a Palermo. E non si sono più lasciati.
«Siamo cresciuti insieme: le prime esperienze, le occupazioni, gli spettacoli, i concerti, la voglia di scrivere. È come se quello che vogliamo dire ci avesse unito. Se avessimo trovato un denominatore comune. Siamo diventanti una famiglia e i nostri genitori dicono che ci assomigliamo, che nel tempo la nostra fisionomia è cambiata».
Parla Veronica Lucchesi, 34 anni, cantante dei La Rappresentante di Lista, il gruppo musicale a cui ha dato vita nel 2011 insieme a Dario Mangiaracina, 26 anni, polistrumentista laureato in medicina. «Mi sono iscritto al test per sfida e poi mi sono appassionato. Mi sono specializzato in malattie infettive, se avessi continuato in questo periodo sarei stato in prima linea», dice lui.
Già, perché nella storia di questa intervista c’è anche la variante Omicron, che ha fatto saltare il nostro scatto per la copertina e ora aleggia come uno spettro sul Festival di Sanremo. «È lo spauracchio di tutti», ammette Dario. «L’anno scorso Irama è diventato il simbolo del confinamento di un artista. Siamo tutti appesi a un filo». Covid a parte, per molti LRDL è stata la rivelazione musicale del 2021. Una scommessa vinta di Amadeus, che li ha portati all’Ariston e nelle case del pubblico generalista.
La loro Amare è diventata un inno alla libertà (disco di platino). E poi ci sono stati l’album My Mamma, il tour estivo e il loro primo romanzo, Maimamma.
Ciao ciao è un testo dissacrante
Tornate all’Ariston con Ciao Ciao. Che canzone è?
V. «È un brano che si presta al ballo e alla performance dal vivo. Molto dinamico e movimentato. Ci permette di giocare e di presentare un’altra sfaccettatura del nostro progetto. Se con Amare veniva fuori il lato cantautorale da ballata emotiva, qui è come se sfoderassimo un altro modo di stare sul palco. Che ci avvicina a una parte per noi molto importante: i live».
D. «Ciao Ciao è un testo dissacrante che chiude il cerchio di Maimamma. Perché il tema principale della canzone è la fine del mondo, come nel nostro romanzo. Dentro invece ci sono tutti gli argomenti che ci sono cari, dalla tutela dell’ambiente alla femminilità».
Il trasformismo di cui parla Veronica lo vedremo anche nel look: diventate più punk, con gli outfit griffati Moschino…
V. «Siamo stati fortunati, Moschino è la casa di moda più adatta a questo brano. Con il suo modo di essere d’impatto, irriverente, vicino alla teatralità, ci aiuta a raccontare al meglio la canzone».
Il 2021 è stato un anno intenso. Siete stati travolti dalla popolarità ma avete mantenuto un’identità molto forte
D. «Grazie a tutto quello che ci è successo negli ultimi 10 anni. Siamo arrivati all’Ariston sicuri, con un percorso alle spalle che ci ha permesso di progettare anche al di fuori degli spazi televisivi. Dopo il Festival siamo stati in tour. Abbiamo ritrovato il nostro pubblico dopo il lockdown. Sanremo è stata una tappa. E la nostra fortuna è di essere multitasking.
L’anno scorso avevamo delle aspettative rispetto alla gara, forse dettate da ingenuità da principianti. Quest’anno non sentiamo questo tipo di tensione agonistica. Anzi, ci siamo resi conto che Sanremo è una competizione ma allo stesso tempo un’occasione per far sentire la nostra musica. Proprio per l’unicità della manifestazione».
Il “queer pop” è il nostro genere
Il genere musicale che vi identifica è il “queer pop”, nel senso di ricchezza, fluidità artistica e capacità di reinventarsi
V. «Il divenire è il treno sul quale vorrei sempre salire. È un atteggiamento mentale che deriva dall’essere costantemente insoddisfatti dopo aver messo giù un’opera. Cominci a vederne le criticità perché l’hai fermata nel tempo. L’hai cristallizzata mentre tu stai evolvendo. E poi a volte si va troppo avanti e non si dà alle cose il tempo di sedimentare.
Con il libro ad esempio ci stiamo andando piano. Ci rendiamo conto che ha una vita diversa rispetto a quella di una canzone e anche tra 20 anni qualcuno potrà leggerlo e immedesimarsi. L’altro caposaldo è il nostro modo di fare arte, la ricerca. Il bisogno di farsi contaminare, di rubare qua e là e di trasformare quanto assorbito mischiandolo con la propria identità, il vissuto, il gusto».
Il tour è l’occasione per esprimere tutte le vostre anime artistiche. Avete già un’idea per le date della primavera (si parte il 17 marzo da Roma, ndr)?
D. «Sì, abbiamo iniziato a immaginare lo spettacolo perché dopo Sanremo tutto sarà vertiginoso. Suoneremo nei club, con l’aggiunta di due nuovi musicisti alla band. Questa volta la musica sarà in primo piano. Protagonista davanti a tutto il resto».
Il nostro romanzo parla di apocalisse
La rappresentante di lista, dalla musica alla narrativa: parliamo di Lavinia, la protagonista del vostro romanzo Maimamma (uscito a fine 2021)
V. «C’era questo racconto che Dario aveva iniziato a scrivere ancora prima che lo conoscessi. Era molto preso da questa storia che muoveva i suoi primi passi, e anch’io avevo delle belle sensazioni. Lavinia (nel romanzo è una donna che sta per dare alla luce un figlio alle soglie dell’apocalisse, ndr) prima che noi pensassimo di scrivere la sua storia si era già insinuata nella nostra produzione. È stata il titolo di uno spettacolo teatrale del 2012. Era nei racconti delle canzoni del nostro primo album, (Per la) via di casa (2014, ndr). Ed è diventata l’ispirazione per tutto ciò che facciamo».
Come Marlena per i Måneskin, un po’ musa, un po’ icona.
D. «Sì, anche se noi non l’abbiamo mai citata espressamente nelle canzoni, se non nel nome di una traccia strumentale. Nel romanzo invece c’è l’idea di visualizzare quest’ossessione e descriverla con più spazio e parole».
Cosa le succederà dopo la fine del mondo?
D. «La ritroveremo da qualche parte. La vita di Lavinia non si esaurisce con il romanzo. Forse ha già fatto dei passi in avanti. Penso ad esempio alle nuove canzoni che abbiamo iniziato a scrivere».
V. «C’è anche da considerare che la fine del mondo è una libera interpretazione: può essere l’apocalisse ecologista ma può anche una fine del mondo interiore, di un periodo della propria vita. Lavinia esce di scena ma questo forse è solo il primo atto».
Attenti alla questione ambientalista
La questione ambientalista è attuale. Penso a Don’t Look Up, il film con Leonardo DiCaprio e Jennifer Lawrence. E l’ecologia è un tassello che si aggiunge ai vostri temi prediletti: la maternità, la femminilità, il corpo.
D. «È in atto un ecocidio di cui non si parla abbastanza».
V. «È vero, secondo noi ci sono dei temi sui quali bisogna insistere. L’ambiente ma anche come viene trattato il corpo femminile. Perché purtroppo ancora non c’è una rappresentazione sana della donna, ispirata alla parità di genere. Per noi è naturale battere su questi aspetti e su altri correlati, come l’intersezionalità (più discriminazioni connesse tra loro, ndr).
Quando vedremo che una serie di situazioni miglioreranno, saremo orientati al rispetto, a un giudizio costruttivo e non solo distruttivo, troveremo altre modalità per portare avanti la nostra missione. Perché chi ha voce deve farlo, deve farsi sentire».
Siamo molto complici
Aggiungo uno spunto: la sacralità. Vi ci trovate?
D. «Pensa che io da piccolo volevo fare il Papa! La sacralità è un concetto che sento vicinissimo a me e con LRDL abbiamo sempre parlato di rito nel momento del live. Anche a teatro c’è sacralità, dedizione».
V. «Il sacro ha a che fare con il divino, con qualcosa che non si può scoprire fino in fondo. Come quando mettiamo in scena uno spettacolo. A teatro non mi è mai piaciuta l’idea di pensarmi a tu per tu con chi mi osserva. Il rapporto con il pubblico è di vicinanza.
Ma ci sono anche tante distanze: la divisione tra attori e spettatori, il sipario, la quarta parete, il palcoscenico. Questa lontananza deve essere colmata con uno sforzo da entrambe le parti: chi recita e chi guarda lo spettacolo. Solo così una cosa che appare inaccessibile, intoccabile, inarrivabile, sacra. Può a poco a poco essere codificata con ciò che il pubblico sente, con ciò che ha vissuto. Il teatro è un percorso».
La rappresentante di lista, ditemi la verità: voi due litigate mai?
V. «Siamo molto complici ma abbiamo caratteri che si scontrano perché lui va dritto come un ariete e io invece sono più riflessiva». D. «Litighiamo e urliamo come tutti. Ma sempre a fin di bene: per progettare e per fare delle cose belle».
Di Rachele De Cata – Foto: Gabriele Giussani