03 febbraio 2017

Intervista a Emma Stone, eroina di “La La Land”

Emma Stone ha la battuta pronta, sempre, tanto che a Tustyle stiamo facendo la collezione. A una delle nostre prime interviste ha cercato di spacciare per whisky una Red Bull che le hanno servito alle tre del pomeriggio («Oh, ecco il mio scotch!»). Ai tempi dell’amore con Andrew Garfield, durato quattro anni dentro e fuori la saga di Spider-Man, è arrivata dicendo: «Mi chieda qualunque cosa ma non se l’Uomo Ragno è più fico di Birdman (film che intepretò del 2014, ndr)», il suo modo per dire che l’argomento uomini non si tocca, valido ancora di più adesso che è single.

All’incontro per parlare di La La Land, il musical di Damien Chazelle candidato a 14 Oscar e campione d’incassi anche in Italia, Emma si presenta dicendo: «Piacere, sono la nuova Britney Spears». Autoironica anche se, cantando e ballando nel film, ha conquistato un Golden Globe. Solo la statuetta considerata un viatico per l’Oscar ha scalfito la spiritosa scioltezza di sempre. Tra le lacrime, Emma ha ringraziato anzitutto la madre, che quando aveva 15 anni l’ha portata a Los Angeles per inseguire il sogno di attrice. Proprio come i protagonisti di La La Land. Mia, aspirante attrice (Stone), e Sebastian, pianista jazz (Ryan Gosling), tra canzoni e balli di questa storia su Hollywood che si dipana come un musical degli anni 50 rivisto e corretto ai giorni d’oggi.

Ha avuto anche lei la tentazione di mollare, come la protagonista del film?
«Ho fatto provini su provini e ho dovuto mandare giù molti “no”, ma ho sempre avuto qualche particina che mi ha fatto sperare. Mi ero data quattro-cinque anni di tempo, per capire se fosse la mia strada. Non so se avrei retto sei anni di porte in faccia, come Mia. Sono stata fortunata, ho svoltato dopo tre quando ho girato la commedia Suxbad: Tre menti sopra il pelo».

Due anni fa ha interpretato “Cabaret” a Broadway. Passione per il musical?
«Oh sì, li adoro da quand’ero piccola. A otto anni mi hanno portato a vedere Les Misérables ed è stato un colpo di fulmine. Il ballo, poi, è la forma d’arte che forse amo di più: ho fatto danza per 10 anni, ma non ero abbastanza brava per diventare una ballerina (lo dice in italiano, ndr). Recitare mi viene meglio».

E cantare?
«Temevo che la voce mi tradisse: è il mio tallone d’Achille, la “spia” della mia vita, basta che faccia le ore piccole per ritrovarmi afona. Ma ho imparato a essere più tollerante con me stessa: il perfezionismo non aiuta, anzi, crea solo ansia».

Lei ha sofferto di attacchi di panico…
«Ho scoperto che sono causati da un eccesso di energia: se non la tiri fuori in qualche modo, implode. Ti si ingorgano i pensieri e vai in tilt. Recitare è stato un modo per rielaborarla in positivo. Oggi la considero una fortuna, preferisco avere troppa energia che troppo poca. Mi fa sentire viva».

Il successo non l’ha aiutata a calmare l’ansia da prestazione?
«Purtroppo no. Il problema è dentro la tua testa, non fuori. L’ansia è paura. Di morire, anche. Però ti spinge a tuffarti: quando sei consapevole che la vita è breve, cerchi di viverla intensamente».

Valeria Vignale