Keira Knightley: «Senza sfide mi annoierei»

19 novembre 2018

È tornata in scena più esuberante che mai. Raccontando la sua maternità. Criticando Kate Middleton. E battendosi per la parità. Perché è figlia d’arte anche nel femminismo. Difatti voleva giocare come Beckham. Ma poi..

Potrebbe appartenere a un’eroina rivoluzionaria o a un cavaliere leggendario. E forse non è un caso. Keira Knightley è una combattente. Da neomamma ancora di più. La 33enne attrice diventata una celebrità con i Pirati dei Caraibi e un’icona di stile come ambassador di Chanel è tornata in scena più esuberante e grintosa che mai.

Ha raccontato la sua maternità criticando Kate Middleton per le apparizioni post-parto, in tacchi alti e trucco perfetto, che danno una visione falsata dell’esperienza (la principessina Charlotte è nata il giorno dopo la figlia di Keira e del musicista James Righton, tre anni fa). «Sembra bello, Kate, non mostrare il tuo campo di battaglia. Sette ore dopo la tua lotta con la vita e con la morte, dopo che il tuo corpo si è spezzato… stai lì con la tua creatura tra le braccia a farti fotografare» ha scritto l’attrice in Feminists don’t wear pink (and other lies), uscito da poco in Gran Bretagna, raccolta di saggi curata dall’attivista Scarlett Curtis. 

Sul grande schermo non è da meno. Se il 31 ottobre è tornata coi capelli rosa della Fata Confetto nella favola Lo Schiaccianoci e i Quattro Regni, il 6 dicembre la vedremo interpretare una donna vera e tostissima: Colette è la storia della spregiudicata scrittrice francese diventata simbolo di libertà femminile durante la Belle Époque. «Era coraggiosa, ribelle, anticonformista. Cent’anni fa non era facile raccontare la sessualità femminile, tanto meno esplorarla senza vergognarsene. Colette seguiva solo se stessa, non si faceva incasellare».

Keira risponde a ogni domanda parlando alla velocità della luce. Cosa che stupisce, conoscendo la sua storia. Figlia di due attori teatrali, è apparsa in spot e in tivù fin da bambina, ha sofferto per la dislessia e, a 22 anni, ha pagato con un esaurimento nervoso gli inseguimenti dei paparazzi e la celebrità. Oggi è un vulcano. Bella, ma più ancora brillante. Passa in un nanosecondo dalla riflessione alla battuta ironica. «Dicono che ho chiesto di avere un agente già all’età di tre anni, ma ho dovuto aspettare un bel po’… fino ai sei!» ride. La vera storia del suo nome è sportiva: al padre piaceva la pattinatrice russa Kira Ivanova. Lei invece giocava a calcio, come nel film che l’ha lanciata a 17 anni, Sognando Beckham.

Anche Colette è stata precoce: a 17 anni scriveva, ma i suoi romanzi uscirono con la firma del marito e si affermò con il suo nome soltanto anni dopo. Lei come ripensa ai suoi esordi da adolescente?
«Già da ragazzina ho avuto ruoli che mi piacevano. Volevo essere una protagonista, interpretare solo donne dalla personalità forte. Niente fidanzatine, per intenderci. Solo oggi però mi sento pienamente padrona e manager di me stessa. E sono consapevole della fortuna che ho avuto».

Ha realizzato tutti i suoi sogni?
«Di più. Inizialmente pensavo al teatro, il cinema è stata una sorpresa. I film sono una scommessa, non sai mai cosa piacerà al pubblico. E il successo fa anche paura. Ti dicono che sei “hot”, ma sai che puoi tornare “cold”. Ripiombare nel dimenticatoio altrettanto all’improvviso».

Non ha mai pensato di fare altro, nella vita?
«Ho sognato la carriera sportiva, ma una ragazza è troppo svantaggiata in quel campo, eccetto nel tennis che io detesto. Amo il football, il rugby! Il mio primo discorso femminista è stato sul sessismo nello sport, a 12 anni, a una “speech competition”, una gara di oratoria. Sono arrivata terza, cosa che ancora mi brucia (ride)».

È sempre stata competitiva?
«Amo la sfida. Se non esco dalla cosiddetta “comfort zone”, se non provo paura, mi annoio. Nel cinema però amo i drammi. La commedia non mi tenta: la prima volta che dici una battuta ridono tutti, sul set. Poi la ripeti e non ride nessuno, così non sai più se l’hai detta bene».

Ha avuto una madre femminista. Dopo #metoo, il movimento è tornato di moda…
«Sono figlia e nipote d’arte anche nel femminismo. Mia madre mi ha cresciuto dicendomi che potevo fare qualsiasi cosa. Per questo ho scritto un capitolo di Feminists don’t wear pink… Regalatelo a Natale, così finanziate l’associazione Girl Up, che promuove l’educazione e la leadership femminile».

Invece lei che regali vorrebbe a Natale?
«Che ne so. Libri, oggetti d’arte, vestiti… Un paio di pantofole. Ci sono firmate Chanel? (ride ancora)».

Tra i progetti futuri c’è anche la regia?
«Non so se sarei brava a gestire tanta gente. Peccato però che ci siano poche registe: racconterebbero meglio le donne. Nelle scuole di cinema, le ragazze sono la metà ma solo il 4 per cento fa davvero quel mestiere. Le cose cambieranno solo quando uomini e donne guadagneranno lo stesso e si occuperanno dei figli al 50 per cento».

Lei e suo marito siete pari, in questo?
«Diciamo che ci stiamo provando. Abbiamo un’intera  truppa che ci aiuta, tata, nonni al seguito. Avere un figlio fa esplodere il tuo mondo e la tua vita successiva dipende da come rimetti insieme i pezzi. Il risultato può essere migliore di prima, ma questo non significa che sia facile».

Valeria Vignale

(foto Getty Images)