Miriam Leone: «Mi prendevano in giro per le sopracciglia “alla Elio”»

01 ottobre 2017

«Quella di Miriam Leone parte, almeno in apparenza, come una storia ordinaria.

Famiglia della classe media siciliana, con il padre insegnante di latino e la madre impiegata, ha fatto studi classici ed è cresciuta in una piccola città, in provincia di Catania… Dove i sogni rischiano di invecchiare presto.

«A un certo punto sono esplosa. Ho capito che non potevo continuare a nascondermi. Dovevo seguire quella vocazione che sentivo dentro fin da bambina, quando creavo i costumi di scena con gli stracci di mia madre. Volevo recitare, non vivere di rimpianti» racconta l’attrice 32enne, uno dei volti nuovi più interessanti e charmant del cinema italiano, oggi impegnata sul set di Metti la nonna in freezer, dark comedy di Giancarlo Fontana e Giuseppe Stasi, in uscita il prossimo anno.

Dopo la vittoria a Miss Italia nel 2008, le esperienze in tv a Uno Mattina e Le Iene, e il grande successo nelle serie d’autore (1992, 1993, Non uccidere), Miriam ha ormai definitivamente conquistato anche il grande schermo, dove ha interpretato personaggi femminili forti: dalla siciliana Flora del film In guerra per amore di Pif all’alternativa Agnese in Fai bei sogni di Marco Bellocchio. «La mia fortuna è stata aver incontrato bravi autori, capaci di dare respiro ai ruoli che ho poi messo in scena» si schermisce Miriam, che ha umiltà e spontaneità come marchio di fabbrica.

L’abbiamo potuta ammirare  recentemente su Raiuno nel film In arte Nino, sugli anni di formazione di Nino Manfredi, diretto dal figlio dell’attore, Luca, scritto e interpretato da Elio Germano. La Leone nel film veste panni di una giovane Erminia Ferrari, oggi 85enne, la donna (ed ex modella) di cui Manfredi si innamorò e che sarebbe diventata sua moglie e la madre dei suoi tre figli.

Che cosa significa per lei interpretare una donna così importante nella vita di uno dei mostri sacri del nostro cinema?
«Il film è stato prima di tutto un grande atto d’amore verso Nino, un attore che anch’io ho amato tantissimo, specie durante l’infanzia, quando passavo i pomeriggi a divorare in tivù le pellicole italiane del dopoguerra. Il suo Geppetto ha formato intere generazioni».

Una prova difficile…
«Ho provato, quello sì, una grande responsabilità verso la famiglia. È normale: Luca Manfredi, oltre che il regista, è il figlio. Erminia è sua madre, una donna ancora oggi forte, indipendente. Quante ne ha dovute sopportare da Nino! È la dimostrazione del teorema secondo il quale dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna».

Un altro esempio?
«Michelle Obama, che ha vissuto il ruolo di first lady in modo attivo. Era al fianco del marito, ma non è mai stata “la moglie di…”».

Erminia aveva una carriera avviata. Ma a un certo punto ha mollato tutto anche per seguire Nino. Lei farebbe mai una cosa così per un uomo?
«Non ora. Per carità, capisco che una donna possa realizzarsi nella vita familiare come ha fatto lei. Io però oggi mi sento ancora una figlia e posso pensare solo a me stessa. Facciamo che me lo richiede tra qualche anno?».

Il padre di Nino era un uomo austero, di un’altra epoca, che per lui sognava un futuro da avvocato. Ha rivisto un po’ suo padre insegnante?
«Direi di no: io non ho mai permesso a nessuno, in famiglia, né di aiutarmi né di ostacolarmi. E lo sa perché? Perché il sogno di recitare, che ho sempre sentito dentro fin da quando ero piccola e giocavo a mettere in scena i dialoghi contenuti nei libri di mio papà, non l’ho mai confessato. Né ai miei né a me stessa, forse per paura. E poi, quando si è realizzato, era ormai tardi perché mi dicessero qualcosa».

C’è qualcuno che si sente di ringraziare per questo suo percorso che l’ha portata da Salsomaggiore a lavorare con alcuni dei più importanti registi italiani?
«Moltissime persone, non una sola. Io ho fatto tanta gavetta. Ma forse, ad aiutarmi, sono stati anche i numerosi no che ho ricevuto. E che (ride, ndr) continuo a ricevere regolarmente».

Un esempio?
«Un po’ di anni fa risposi a un annuncio su internet per un provino a Roma. Mi catapultai lì in aereo. Ricordo come mi squadrarono, come sogghignavano e che cosa mi dissero: signorina, onestamente, ma dove crede di andare con i capelli che si ritrova? Ovviamente ci rimasi male, volevo mollare tutto, avevo le lacrime agli occhi, ma alla fine sentivo ancora quella vocina dentro di me che mi diceva: Miriam, vai avanti. Ecco, allora ho imparato l’utilità dei no».

Lei ha lavorato con Pif. Come è stato?
«Come si fa a non amare Pif? Per una siciliana come me, lui è l’antimafia della nostra generazione: leggero ma denso, pieno di spunti. Girare il suo In guerra per amore è stata un’esperienza bellissima».

Che personaggi preferisce interpretare?
«Tutti: recitare vuol dire dimenticare se stessi, scarnificarsi, esserci, con la voce e con il corpo, ma al tempo stesso non esserci».

Lei è molto bella. Che rapporto ha con lo specchio?
«Ho imparato ad accettarmi, ma sono stata anch’io un’adolescente inquieta. Mi prendevano in giro per le sopracciglia “alla Elio”, ancora oggi c’è gente che lo fa su Instagram. Erano riusciti a farmele assottigliare. Un tempo un po’ ci soffrivo, ora ci rido su. Sono quella che sono».

Paolo Papi