Charlie Plummer

Intervista a Charlie Plummer, la nuova star di Hollywood

13 April 2018

Charlie Plummer ha 18 anni ed è il nuovo astro di Hollywood («ma non dite che sono un sex symbol»). È nei cinema con un film tostissimo, in cui attraversa l’America con un cavallo da corsa. Dice: «L’ho girato dopo essermi innamorato»

 

Chi ricorda Leonardo DiCaprio ai tempi di Titanic potrebbe (quasi) credere in una reincarnazione. Stessi occhi azzurri, l’aria di un puro di cuore e un talento di quelli che sono rari anche a Hollywood. Charlie Plummer ha solo 18 anni ma ha girato un film con Ridley Scott (Tutti i soldi del mondo, uscito a gennaio, con lui nel ruolo di Paul Getty III) ed è ora sul grande schermo da protagonista assoluto, con una storia tostissima che si regge tutta sul suo volto così espressivo: Charley Thompson di Andrew Haigh.

Il film racconta la vicenda di un quindicenne abbandonato dalla madre e cresciuto da un padre distratto e maldestro, fra corse di cavalli e brutti guai. Finché, cercando un’amorevole zia perduta, il ragazzo decide di attraversare l’America da solo con il suo vecchio cavallo da corsa, l’unico essere che sente vicino. «Io non ho avuto un’adolescenza così difficile, eppure ho provato sentimenti ed emozioni simili a quelle del mio personaggio» racconta Plummer, che per il ruolo ha vinto il premio Marcello Mastroianni all’ultimo Festival di Venezia. «Da bambino mi sentivo anch’io senza casa: i miei si spostavano per lavoro, ho cambiato una decina di città e scuole. So cosa significhi cercare un posto dove mettere radici e lottare con se stessi per non arrendersi quando stai male».

E ha commosso il regista scrivendo tutto questo in una lettera. Ci teneva così tanto al ruolo?

«Sì, sembra una cosa d’altri tempi? Avevo letto e amato tantissimo il libro da cui è tratto il film (La ballata di Charley Thompson di Willy Vlautin, ed. Mondadori, ndr). Mi ci ero identificato, e dopo aver fatto il provino un venerdì, mi pareva una tortura aspettare tutto il weekend senza notizie. Così mi sono messo a scrivere».

La sua vita da teenager è stata così complessa?

«Non è stato facile passare da una scuola di New York a una di Los Angeles fino a una cittadina dello Utah, per dire solo tre dei posti in cui ho passato l’infanzia. Per questo capisco Charley».

È stata dura essere sempre in scena?

«È stato tutto così intenso che alla fine ero stremato. Oltretutto l’ho girato in un periodo di svolta della mia vita personale, in cui sono successe tante cose…  Avevo compiuto 17 anni e dovevo gestire il mio primo lungo periodo lontano dalla famiglia e dalla mia ragazza».

Così giovane e già fidanzato?

«Mi ero innamorato proprio in quel periodo. Io e Samia abbiamo iniziato a frequentarci pochi mesi prima delle riprese: l’idea di affrontare la lontananza mi pesava, ma ha fatto parte anche quello del mio passaggio alla vita adulta. E l’esperienza con Starsky, il cavallo del film, parallelamente aveva qualcosa in comune con tutto questo».

Sarebbe a dire?

«Sono state due esperienze travolgenti, che mi spaventavano ed entusiasmavano allo stesso tempo. Da un lato ho dovuto costruire un rapporto di fiducia con una forza della natura, un cavallo di oltre sette tonnellate che avrebbe potuto calpestarmi e uccidermi. E con la mia ragazza dovevo impormi di essere aperto, di avere fiducia nel futuro. Ce l’abbiamo fatta, stiamo ancora insieme».

Sembra molto maturo per la sua età. Parla di sentimenti. Sceglie film intensi. Non ha mai sognato il ruolo di un supereroe?

«Certo, da ragazzino adoravo Il cavaliere oscuro e mi esaltava l’idea di indossare un costume da fumetto in un film che tutto il mondo avrebbe visto. Ma ora ho messo a fuoco quello a cui tengo di più: interpretare storie che parlino della vita reale e tocchino le persone nel profondo. Detto questo, mai dire mai».

Ha iniziato a recitare giovanissimo.

«Professionalmente a 11 anni, nella serie tivù Boardwalk Empire, ma le prime esperienze teatrali le avevo fatte a 10».

A quell’età era un gioco o aveva già deciso che sarebbe stato per sempre?

«C’è sempre stato un senso di gioco, per me, nel recitare: è quello che mi ha fatto innamorare del mestiere, fin da bambino. All’inizio ero terrorizzato dal palco, timidissimo, guai a chi mi faceva una foto. Poi il timore è svanito. Creare una storia insieme ad altre persone mi dà una tale gioia!».

I suoi genitori hanno appoggiato la sua scelta di fare l’attore?

«Mia madre fa l’attrice, mio padre è scrittore e produttore (Maia Guest e John Chrisian Plummer, ndr). Sanno quant’è dura ma hanno visto che faccio sul serio e la passione è il requisito più importante. Mi sono messo alla prova in tante arti. Dipingendo, cantando…».

Non ha mai provato a scrivere, seguendo le orme di suo padre?

«Quello non oso farlo, e non solo per mio padre. La mia ragazza è una cantautrice affermata sulle scene newyorkesi (Samia Finnerty, ndr). Per quanto ami la musica, non posso competere con lei. È bravissima, fa anche l’attrice, lavora in tivù. Ha molto più talento di me».

Sta facendo il modesto. Lei ha altri sei film in lavorazione e rischia di diventare anche un nuovo sex symbol…

«Per carità. Quello è uno scettro che lascio a Leonardo DiCaprio».

Valeria Vignale