Dai genitori ha preso la creatività e quell’essere senza filtri che strega chi la incontra. Charlotte Gainsbourg racconta il suo ultimo film («interpreto una donna persa nella vita») e il documentario che ha girato sulla madre. A cui non è mai stata tanto vicina
Tutto è originale in lei. I film che gira. Il modo di vestirsi un po’ da rockettara. L’aria spettinata. La voce dolce e riflessiva, pronta a raccontarsi senza quei filtri e misteri che fanno da corazza a tante altre attrici. Charlotte Gainsbourg sembra una ragazza anche se ha 50 anni e tre figli (Ben, Alice e Joe di 25, 20 e 11 anni, avuti dal regista Yvan Attal). E anche se sembra aver vissuto più vite. «Sono sempre stata strana e timida, ma non è una contraddizione per chi fa il mio mestiere, anzi: ti spinge a superare i tuoi limiti» dice lei.
Figlia del cantante francese Serge Gainsbourg e dell’attrice inglese Jane Birkin, coppia scandalosa e iconica di fine anni 60 quando cantavano Je t’aime moi non plus, ha ereditato una creatività da esprimere su tutti i fronti: musica, cinema, anche arte figurativa che è una sua passione meno nota. Dopo aver debuttato a 13 anni cantando Lemon incest con papà Serge, dopo aver girato a 14 anni il suo primo film da protagonista (Sarà perché ti amo? di Claude Miller), tra i 20 e i 30 anni ha cercato di smarcarsi da quei genitori che, pur spianandole la strada, erano un marchio di fabbrica di cui tenere sempre conto.
Charlotte Gainsbourg ora nelle sale con due film
Charlotte è diventata cantante registrando quattro album dal 2006 (l’ultimo è Rest del 2017). Ha girato film coraggiosi varcando i confini francesi con i titoli del danese Lars Von Trier (da Antichrist a Nynphomaniac), di autori americani (Independence Day di Roland Emmerich) e pure qualche italiano (Nuovomondo di Emanuele Crialese). Oggi vive un momento d’oro. Il 14 aprile è uscito nelle sale Gli amori di Suzanna Andler, tratto da una pièce poco conosciuta di Marguerite Duras portata sullo schermo da Benoît Jacquot: ambientato negli anni 60, racconta una donna intrappolata nel matrimonio infelice con un uomo ricchissimo e infedele.
Sempre il 14 è arrivato nei cinema Sundown di Michel Franco, dove ha un piccolo ruolo accanto a Tim Roth che, in piena vacanza in Messico, lascia moglie e figli per cambiare totalmente vita. Mentre il 16 giugno vedremo il debutto alla regia dell’attrice anglo-francese: Jane par Charlotte, documentario e ritratto personale della madre, Jane Birkin, ora 75enne.
Suzanna Andler è il ritratto di una donna ricchissima quanto infelice, tormentata, con un marito assente e infedele. Che cosa ti ha attratta di questa storia?
«Mi piace molto la scrittura di Marguerite Duras e l’ambientazione negli anni 60, anche se il film non è centrato sul periodo storico e ha un’atmosfera fuori dal tempo. E poi mi ha affascinato il personaggio, una donna persa nella vita. Mi ha toccato la sofferenza di Suzanna. C’è un alone di mistero intorno a lei: non sai mai se dice la verità, se tornerà dal marito o resterà con l’amante, o se farà una scelta estrema come il suicidio».
È doloroso calarsi in un personaggio così?
«Per me no, è stato un piacere. Il testo è così bello e ho assorbito talmente le parole della scrittrice che mi sono sentita libera di dare un’interpretazione personale. E poi abbiamo girato il film in neanche due settimane, vivendo con la troupe nella stessa villa delle riprese, cosa che succede di rado».
Hai debuttato alla regia con Jane par Charlotte, ritratto intimo non solo dell’iconica Jane Birkin ma del vostro rapporto di madre e figlia. Non avevi paura di condividere intimità e ricordi dolorosi, come la scomparsa nel 2013 di tua sorella, Kate Barry, nata dal primo matrimonio di Jane Birkin?
«Al contrario. Confesso che ogni mio progetto nasce da un impulso egoistico. Non volevo un documentario classico ma mostrare come Jane vive oggi, guardarla nella sua originalità di donna oltre che di artista. E soprattutto volevo che fossimo più vicine. Abbiamo una strana relazione, io e lei: siamo un po’ distaccate, timide una con l’altra. Il progetto l’ha spaventata, all’inizio: temeva che sarei stata invadente e le avrei chiesto di dire cose che non voleva dire. Poi ha capito che non è nella mia natura. Non ho rivelato segreti, non credo di averla messa in imbarazzo. Quando però ha parlato di Kate ed è riemerso il suo dolore, ho capito che dovevo fermarmi perché ero arrivata al limite, avevo toccato un nervo vivo».
Charlotte Gainsbourg in Saint Laurent by Anthony Vaccarello alla Paris Fashion Week 2022 (foto Shutterstock)
Bilancio di quest’esperienza?
«Il film è stato un filtro, un pretesto per parlare con mia madre anche di quel trauma che non avevamo mai affrontato insieme. A fine riprese eravamo più complici, al punto che era difficile tornare ognuna alla sua vita senza quegli appuntamenti ormai quotidiani. Quando ho presentato Jane par Charlotte al Festival di Cannes, l’anno scorso, altre madri e figlie hanno detto di essersi rispecchiate nel film, pur avendo storie diverse, e questo mi ha fatto molto piacere».
Dai tuoi genitori hai sicuramente ereditato l’originalità.
«Forse ho ancora troppa ammirazione per poterlo dire. Ed è difficile capire cosa abbia preso da lui o da lei: spero di essere un miscuglio di entrambi. Fisicamente è sempre stato difficile il paragone con mia madre: lei era una tale bellezza!».
Vuoi dire che non ti senti così bella?
«Era una tale fuoriclasse: è stata dura per me crescere somigliando più a mio padre. Oltretutto lei mi tagliava i capelli corti e mi vestiva come un maschio, mentre a Kate lasciava i capelli lunghi. Non sono mai riuscita a vedere il mio lato femminile. Non le ho mai chiesto perché, d’altronde mi ha sempre detto di tagliare i capelli corti anche a mia figlia».
È stato difficile staccarsi dal pedigree di famiglia
«A Parigi tutti mi vedevano come figlia loro e me lo ricordavano a ogni passo, cosa che non mi ha fatto sentire libera. Essere sempre all’altezza di quell’immagine, sempre gentile e formale: non dico che i miei genitori siano stati un fardello ma quella cortesia forzata era difficile da sostenere. Quando verso i 42 anni mi sono trasferita a New York è stato così liberatorio! Se mi riconoscono, in America, è per i miei film e la mia musica: questo mi ha gratificato. Finalmente mi sono sentita completamente libera».
Charlotte Gainsbourg in Saint Laurent by Anthony Vaccarello al Deauville American Film Festival, lo scorso settembre (foto Ipa)
E compiere 50 anni che effetto ti ha fatto?
«È stato strano perché sono tornata alle origini, seppure attraverso un film, dopo aver fatto di tutto per allontanarmi. Sono pure tornata con mia madre nella casa di mio padre (morto nel 1991, ndr). Tutto questo rivela qualcosa, il bisogno di riavvicinarmi alle radici prima di andare avanti».
Sei tornata a vivere a Parigi?
«Dopo il primo lockdown temevo di restare bloccata negli Usa: ho voluto riunirmi a Yvan e mia madre, a Parigi. Non so se mi fermerò, potrei trasferirmi un po’ in campagna o andare a Londra. Sono aperta ai cambiamenti: nella mia vita, scoprire paesaggi, persone e abitudini nuove è sempre stato rigenerante».
Di Valeria Vignale