Jasmine Trinca

Jasmine Trinca: «Sono cresciuta in un mondo magico»

15 giugno 2022

A 20 anni dal suo primo film, Jasmine Trinca debutta dietro alla cinepresa e rende omaggio a sua madre con una storia che parla di maternità fuori dagli schemi

 

Ventuno anni fa una timida ragazza romana calcava il tappeto rosso a Cannes con emozione ed esitazione rari. Era lì per il suo primo film, per cui era stata scelta su 2500 candidate: La stanza del figlio di Nanni Moretti, che si sarebbe aggiudicato la Palma d’Oro. Passano vent’anni e quella ragazza non è diventata solo un’attrice pluripremiata e nota anche a livello internazionale, ma anche una regista con uno stile e uno sguardo ben precisi. Parliamo di Jasmine Trinca, legata al Festival di Cannes da una storia di debutti ed emozioni speciali.

Adesso che il suo film Marcel! è nelle sale non sta nella pelle, soprattutto perché si tratta di un omaggio sentito alla figura di sua madre e all’arte a cui «si deve la vita», come recita una battuta clou del suo film.

Mettiamo indietro gli orologi: come ripensi all’attrice esordiente di La stanza del figlio?

«Con grande tenerezza. È stata una storia incredibile, cominciare per caso nel mondo del cinema e con un film così speciale, poi Cannes, la Palma d’Oro, e vent’anni di incontri uno più importante  dell’altro».

Nel frattempo sei diventata regista. Che cosa provi?

«La sensazione quando giri un primo film è ricominciare da capo, con l’entusiasmo della prima volta. Gioia pura».

In Marcel! sorprende il senso del magico della protagonista, una madre sui generis. È qualcosa che ti è familiare?

«Sono cresciuta in un mondo non governato dal terreno, in un’atmosfera magica di persone che cercano un’elevazione spirituale in maniera buffa e senza prendersi troppo sul serio, partendo da un ambiente di grande semplicità. Ho imparato la tensione verso l’alto, un ordine di cose che non possiamo governare. Lo devo a mia madre. Leggeva le carte op- pure se le faceva leggere e la sera, quando io cercavo di prendere sonno, lei resta- va sveglia fino a tardi a tirare monete per interpretare il mondo».

Ci ha mai preso?

«Attraverso grandi metafore, direi di sì».

E tu tiri le monete a casa come lei?

«Certo! Uno dei libri fondativi della libre- ria a casa mia è il libro oracolo di I Ching, quel tipo di lettura misteriosa alla fine del- la quale arrivi a vedere quello che vuoi vedere, ha segnato tutta la mia formazione».

Che tipo di madre è stata la tua?

«Una donna libera, molto più di me, avanguardista. Mi ha trasmesso un forte senso del femminile e dell’amore. Con quel poco che avevamo sono arrivata fin qui, penso che abbia fatto quindi molto bene. Il mio film è un tentativo di farci pace e di ringraziarla. Era una madre fuori dagli schemi, ha tirato su una figlia con una serie di principi importanti, dandole l’esempio di una donna non convenzionale. Per me come donna, e poi come madre, è stata fondamentale. Le donne storte sono tuttora quelle che preferisco, abitate dall’arte e dal dolore come la madre interpretata da Alba Rohrwacher nel mio Marcel!. Supereroine che battagliano con la vita e ci credono nonostante il poco, nonostante tutto».

E tu che madre senti di essere?

«Ho capito le cose della maternità facendo la madre, convinta che l’affetto e la trasmissione dell’affetto, come del pensiero, siano le basi fondamentali. Per il resto non mi rivedo nel ruolo predefinito della madre agiografica e devota che va per la maggiore, anzi mi perplime che abbiamo ancora questo tipo di modello di madre».

C’è anche tua figlia Elsa nel film…

«Fa un piccolo ruolo, qualcosa doveva pur fare: interpreta la bambina affascinante sui pattini. Del resto è una vera sventola lei, non come me».

Il personaggio della madre è perdutamente innamorato del suo cane, ti è mai successo qualcosa di simile?

«C’è stato un cane importante nella mia vita, il cane di mio padre che gli è sopravvissuto, io l’ho perso da piccola, per me è stato uno spostamento, un transfer. Anche nel film si avverte la presenza dell’assenza di un padre che non c’è più, eppure in qualche modo c’è sempre, com’è stato per me».

C’è anche lo sforzo estenuante di una figlia che cerca in ogni modo di farsi vedere da sua madre. È autobiografico anche questo?

«Sono diventata attrice per farmi vedere. Pur essendo timida, tra l’altro. Ma fare questo lavoro è stata una fortuna, spero di continuare a “giocare” fino ai 90 anni».

Da attrice come hai diretto le altri attrici?

«Dirigere è una brutta parola, a me piace fare un percorso con le attrici, credo sia la cosa che mi viene meglio. Penso sempre che possano andare più lontano. Mi divertiva esplorare con Alba un lato di commedia e follia in cui è stata eccezionale. E anche Maayane Conti, figlia di miei amici al suo primo film, già brava e con un gran- de potenziale».

Non hai mai pensato di autodirigerti?

«Ero troppo concentrata a fare la regia, mentre a Garbatella, quartiere popolare noto di Roma, ci urlavano dalle finestre. Però ogni tanto con l’aiuto-regia ci dicevamo: se un’attrice dovesse non venire abbiamo pronta la sostituzione».

Più donne alla regia: è tempo?

«Direi proprio di sì, penso che lo sguardo femminile porti una differenza e sia necessario. Per questo ci tenevo che il mio primo film fosse impreziosito e accompagnato dalla presenza di tante compagne, sia a livello di attrici che di maestranze che sti- mo. C’è finalmente una domanda discreta di mercato per noi donne nel cinema».

Adesso ti è venuta voglia di dirigere altri film?

«Tanta. Mi piacerebbe poter dirigere an- che una serie, per avere la possibilità di fare un racconto più esteso. Quanto al mio futuro di attrice, ho appena finito di girare un film francese di Lea Todorov che parla di donne, io interpreto la Montessori prima che stabilisse il suo metodo, quando lavorava con bambini con gravi disabilità. È stato emozionante».

Di Claudia Catalli – Foto IPA

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