Silvio Muccino torna al cinema con la commedia “Le leggi del desiderio”

18 February 2015

Sarà perché sono passati cinque anni dal suo ultimo film, sarà perché ne ha compiuti 32 e ha ormai  il viso da uomo. Certo è che il regista, attore e scrittore Silvio Muccino è in forma: capelli lunghissimi e sorriso seducente, ricorda un po’ l’attore Bradley Cooper. Glielo dico, e lui gongola: «Che complimento, è un gran figo!».

L’ex enfant prodige del cinema italiano, che già a 24 anni aveva scritto e interpretato con Carlo Verdone Il mio miglior nemico, arriva con il suo terzo film da regista, Le leggi del desiderio (nelle sale dal 26 febbraio). E con una svolta, forse dovuta proprio algiro di boa dei trent’anni.
Quando nel 2008 l’avevo incontrato per il film Parlami d’amore, il suo esordio dietro la macchina da presa, aveva l’entusiasmo del ragazzino che scopre l’erotismo. Storia di un ventenne che si innamora di una quarantenne, la pellicola era tratta dall’omonimo romanzo che Silvio aveva scritto a quattro mani con la sceneggiatrice Carla Vangelista (la rottura dei rapporti col fratello Gabriele, che ha scatenato il gossip negli ultimi tempi, era ancora lontana). La coppia autoriale ha replicato nel 2010 con il libro Un altro mondo, poi tradotto in versione cinematografica (in cui Muccino
si dichiarava innamorato) e con il romanzo di formazione Rivoluzione n. 9.

Dopo un lungo silenzio, finalmente Silvio Muccino sta per tornare. E lo fa con un ruolo molto diverso dai precedenti: quello di “life coach”, specie di guru che aiuta la gente a trovare la strada per l’affermazione e il successo. Ragazze, nel film si vede anche Tu Style! Carla Signoris, che interpreta una seguace di Muccino, diventa famosa scrivendo bestseller erotici e finisce sulla nostra copertina. Oltre a lei, ci sono altri personaggi in cerca di riscatto: una editor sfortunata (la bellissima Nicole Grimaudo) e un disoccupato sessantenne (Maurizio Mattioli).

La figura del life coach un po’ cialtrone è uno spunto per farci sorridere?
«Non soltanto. Mi sembra un personaggio emblematico di questo momento storico, un incrocio tra
il profeta e il fanfarone, tra lo showman e lo scienziato. Esiste una letteratura sterminata su guru di questo genere in tutto il mondo. Io mi sono ispirato ad Anthony Robbins, che è stato consulente
di Bill Clinton. Lui sostiene che se ti comporti come una persona di successo, se pensi da vincente,
se ti vesti in un certo modo, puoi stare sereno: ce la farai».

In che modo l’ha raccontato?
«Ho immaginato varie storie per porre domande cruciali. Chi siamo? Qual è il confine tra
il nostro modo di essere e quello a cui puntiamo? Il percorso che tutti dovranno affrontare, compreso il coach, sarà accettare la propria imperfezione e vulnerabilità. Che in fondo è la nostra grande bellezza».

Se lo ammette anche lei, che il successo l’ha ormai raggiunto…
«Accettare le debolezze è una conquista per tutti. Anche per le persone apparentemente più forti e carismatiche».

Si è riconosciuto nei panni del coach?
«È il personaggio più lontano da me che abbia mai interpretato! Ma forse proprio per questo mi sono divertito un sacco. Vestire quella sbruffoneria è stato come tirare fuori il mio Mister Hyde».

Finite le riprese, ha tenuto i capelli lunghi da santone, o quasi.
«Sono scaramantico e avevo fatto una scommessa sul set. Ma subito dopo l’uscita nelle sale, basta:
mi aspetta un taglio radicale».

Ha scritto il film con Carla Vangelista. Su questo vostro “tandem”, con trent’anni di differenza anagrafica, sono stati fatti molti pettegolezzi.
«Questo perché mio fratello Gabriele, che da anni fomenta polemiche con dichiarazioni e tweet, ha creato il caso (sostenendo che la Vangelista lo plagerebbe, ndr). Non c’è molto da dire. Con Carla ho grandi affinità: lavoriamo bene insieme, abbiamo gli stessi gusti nel raccontare storie. Gabriele non l’hai mai conosciuta: è una violenza, da parte sua, averla coinvolta nelle nostre vicende familiari. Ultimamente speravo nel suo silenzio, invece… Dopo la promozione, risponderò».

Perché ha fatto passare tanto tempo dal suo ultimo film?
«È un lusso che mi sono voluto concedere. E ne avevo bisogno, anche se era rischioso. Ho iniziato a lavorare da ragazzino, senza sapere bene chi fossi, dove volessi andare. Avevo bisogno di crescere, di non restare incastrato nel ruolo dell’eterno Peter Pan. Mi serviva un periodo di vuoto per preparare il pubblico al cambiamento».

Che cosa ha fatto, nel frattempo?
«Mi sono occupato di me stesso. Ho completato il mio percorso di analisi, cosa tosta ma bellissima. Sono andato a Londra per qualche mese. Ho letto, studiato, viaggiato, tutte cose abbastanza normali. La mia vita non è pirotecnica come si potrebbe credere: è molto più facile trovarmi col cane a Villa Borghese che su un tappeto rosso».

Qualche anno fa diceva di essersi innamorato. E adesso?
«Non ha funzionato e ora sono di nuovo single».

Perfino il coach che interpreta, alla fine, si arrende all’amore.
«Lo vorrei tanto anch’io, ma non è facile trovare la persona giusta. Però alla domanda più banale del mondo, “cosa sogni?”, rispondo che mi sento pronto per una storia vera. Comincio pure a desiderare dei figli. Durante le riprese, Nicole Grimaudo veniva sul set col suo bambino di pochi mesi. Mi ha fatto riflettere, con lei in passato ho condiviso momenti da giovani scapestrati e rock’n’roll».

La famiglia è un valore che ribadisce in tutti i film. Con la sua farà pace?
«Sono convinto che la famiglia d’origine sia il punto di partenza, il punto di arrivo è quella che ti costruisci tu. Che avvenga in modo burrascoso o che sia una transizione dolce, l’importante è lasciare il nido e trovare la propria strada. Io mi sento in pace con le mie radici, ma voglio crescere verso l’alto, come un albero. Se rimanessi attaccato alla terra, sarei una patata».

di Elisabetta Colangelo

(Photo: Corbis)