Michela Giraud

Michela Giraud: «Non ho l’allure della “madamina”»

07 aprile 2021

Durante un viaggio pronunciano male il suo cognome e lei improvvisa un monologo. Da allora, per l’attrice e comica romana, è stato un crescendo di risate. E di popolarità

 

“La maledizione del comico? La sindrome del “famme ride”. Parla Michela Giraud, classe 1987, attrice che scherza molto su se stessa: “Faccio stand up comedy, cioè intrattengo gente che paga per vedermi, tipo una chat erotica”. Brillante e un filo irriverente, è fedele a un principio: “Mica perché si è donne si può far ridere solo a botta di cerette e parcheggi impossibili”.

A darle ragione la carriera intensa, partita nel 2015 nei club e approdata alla tv, con gli show Colorado, La tv delle ragazze, gli stand up La fantastica signora Giraud, con cui ha lanciato The Marvelous Mrs. Maisel in Italia. In maggio condurrà la seconda serie di CCN. Comedy Central News. In tempi di clausure pandemiche, i suoi video su YouTube sono un toccasana. La controindicazione: creano dipendenza.

Michela è uno dei dieci comici in gara per LOL: Chi ride è fuori su Amazon Prime Video dal 1° aprile. Geniale la formula: via gli avversari a colpi di battute. Un vero upgrade del motto rivoluzionario “una risata vi seppellirà”. Partiamo da qui.

Bandite Nutella e capelli corti

Com’è stata l’esperienza di LOL?
«Bellissima: ho lavorato con fior di professionisti pieni di un’energia creativa. E ho dovuto mettermi alla prova: sono maniaca, scrivo tutto, ma lì vinceva l’improvvisazione».

Che storia ha il tuo cognome?
«Ho origini franco-napoletane, mia madre è di Torre Annunziata, dove c’è lo stadio dedicato al nonno calciatore. Mio padre invece ha fatto una carriera militare».

Quindi hai avuto un’educazione rigida?
«No, in casa c’erano solo tre divieti assoluti: la Nutella, i tatuaggi, i capelli tinti o corti per una ragazza. Mia nonna paterna diceva “Michelì, ti voglio come Grecia Colmenares”, l’attrice con i capelli al sedere».

Per il look invece eri libera?
«Macché. Mi compravano scamiciati e scarpe baby, mi volevano madamina. Ma io ero una bambina scalmanata, “peggio e ‘nu maschio” diceva la mia maestra».

Michela Giraud: la scoperta del talento

Immagino anche da teenager.
«Espansiva e chiusa insieme. Cercavo compagnia nella solitudine e solitudine nella compagnia. Al liceo, il Mamiani, soffrivo per quel radicalchicchismo affettato».

E Michela versione studentessa?
«Ribelle con i miei e in conflitto con i prof. Ma amavo la matematica e la metrica greca… il greco è tosto, ma poi lo domini e sei in connessione con gli dei. Sono passata dal 2 all’8. Alla maturità tesi sulla giustizia, avevo visto la fiction su Falcone».

Ti sei iscritta a giurisprudenza?
«No, mi sono laureata in storia dell’arte, un’altra passione. Se non ce l’hai non puoi ricordare le immagini, le date, fare 40 esami…».

Poi hai scoperto di avere talento.
«Sì, durante un viaggio. Nome e cognome diventano Vitela della Giraldi. Improvviso un monologo e un ragazzo mi dice “perché non fai teatro?”. Ai corsi ho sentito un’energia dorata nel petto. Hai presente l’Estasi di Santa Teresa del Bernini? Poi racconto della Sapienza, un posto dove arrivi e non sai se fai lezione. Ridono e io intuisco una predisposizione».

Una sensazione da vertigini, vero?
«Come incontrare l’amore della tua vita: sai che ci sarà una svolta, ma hai troppa paura di fallire».

La gavetta, gli insulti, l’analisi

È capitato che fallissi?
«Al festival di Grottammare. Gelo in sala per due sere: è come tuffarsi nell’acqua ghiacciata e sentirti trafitta da mille lame. Volevo fuggire, mi fermò Max Tortora: “Sei ‘alta’, non ti capiscono, ma so che farai carriera”. La terza sera fu un successo: con una battuta avevo infranto la quarta parete, il muro tra me e la platea».

Quanti anni è durata la gavetta?
«Ho cominciato a 23 anni, i guadagni sono arrivati a 27. Anni di valigie fatte e disfatte, di vita raminga. I miei erano perplessi, mi ascoltavano come se a parlare non fossi io ma… una caraffa, un oggetto inanimato. Sono ansiosi, timorati di Dio».

Eppure hai tenuto duro.
«All’inizio venivo guardata come una marziana, mi sono presa uno spazio che non c’era. Mi hanno detto che ero un’incapace, che ero volgare. Ma c’è chi ha visto qualcosa anche nelle parolacce. Mi ha aiutato l’analisi, utile per lavorare su di sé. Ma l’ansia persiste fino al palco».

Però non disdegni i live.
«Per un attore il pubblico è linfa vitale. I social sono funzionali, soprattutto nel mondo della stand up comedy, che è un po’ musone. Ma nulla è meglio del palco».

Per Michela Giraud l’autoironia è un’arte

Esiste la comicità al femminile?
«I meccanismi della risata non hanno sesso. Ma per il black humor devi scherzare su ciò che conosci. Tema tosto? Fai battute brillanti. Se manca quell’estro, stai a casa».

E per coltivare l’autoironia?
«Prendersi poco sul serio è un’arte raffinata. La comicità è fatta anche di crudeltà, di vedersi come si è. Faccio video sulla mia taglia, ma senza retorica del body positive, del “stare bene con se stesse”. A volte stai male ma te ne freghi e continui a mangiare un tramezzino. Nessuno si piace tanto, meglio dirselo. La vita è un percorso che ti porta a essere te stesso. Io avevo vergogna, poca memoria. E oggi per mestiere sono al centro e devo ricordare tutto».

A vantaggio dell’autostima…
«No, qui il viaggio è ancora lungo». 

 

Di Cinzia Cinque – Foto di Mirta Lispi: Michela Giraud sul set di CCN, Comedy Central News